TERZA PAGINA-La guerra del giornalismo da retrovia

Le guerre, sia per farle sia per raccontarle, hanno sempre almeno due volti contrapposti. Non solo l’ingannevole trappola di chi l’ha provocata o di chi la subisce o, peggio, del Buono o del Cattivo. Molto più semplicemente vale una incontestabile questione fisica: se la guerra la vedi da lontano o se ti ci trovi nel mezzo. E non sostengo che per aver vissuto tante guerre stando sul bersaglio fossi allora più bravo o più furbo di oggi che le vedo in tv e le commento da casa. Forse il contrario. Ma certamente cambiano non soltanto i punti di vista ma le stessa parole e le sensibilità del racconto.

Guerre, chi le racconta e chi ce la racconta, 29 agosto 2013, Siria

La concitazione di quando si svolgono i fatti (volano missili e bombe), e la confusione assoluta della vigilia del non sapere, delle cancellerie che non decidono e delle redazioni che debbono dire qualcosa facendo finta di sapere cose che soltanto pochi generalissimi sanno. Resta il fatto che cambia radicalmente il meccanismo di narrazione. Con aspetti caricaturali che alleviano, almeno per un attimo, l’angoscia della prossima follia militare data per certa. La rincorsa all’ Ora X, in una vigilia dell’attimo prima che tutto quello che si sa o si crede di sapere, deve accadere. E giù dettagli del ‘sembra’, ‘forse’ e ‘si dice’.

Regola del passaparola

La regola del passaparola. Partiamo dall’Unione sarda che ci informa come «Una indiscrezione della Nbc ha accelerato le diplomazie: “Tre giorni di attacco alla Siria”, rivela l’emittente». Il Messaggero si assume direttamente qualche responsabilità in più: «E’ solo una questione di giorni, forse di ore». Forse che si, forse che no. Subito dopo infatti: «Una informazione non confermata però dal presidente Obama che sta prendendo del tempo per vagliare le varie opzioni. Il raid dovrebbe iniziare domani». Un domani che è già oggi ma che vale per i giorni avvenire se del caso.

Il Sembra verso la catastrofe

Il quotidiano della conferenza episcopale Avvenire cede un po’ della sua saggia prudenza: «Il dado è tratto. L’attacco alla Siria sembra ormai inevitabile». Colpa del premier britannico David Cameron, sembrerebbe ad Avvenire. Anche se -versione opposta- secondo il Messaggero «È la Gran Bretagna di David Cameron, a sorpresa, a fermare le lancette del conto alla rovescia per lo strike contro il regime di Assad». Boh? Due possibilità: 1) Londra guerrafondaia come da tradizione imperialista; 2) Attesa delle decisioni del Parlamento riconvocato dalle ferie per la forzatura «anche senza l’Onu».

Grandi Testate grosse zuccate

Dall’empireo della carta stampata, qualche uniformità in più. Corsera: «Da giovedì tre giorni di attacco alla Siria», rivela l’Nbc. Giovedì ‘giorno fatale’ anche per il Washington Post secondo cui Obama dovrebbe rivelarci la verità americana sulle armi chimiche. Repubblica conferma: «Gli Stati Uniti sono pronti al blitz sulla Siria, che nelle intenzioni dovrebbe portare a una guerra lampo di tre giorni con l’impiego di soli missili per piegare il regime di Assad». La Stampa di Torino invece semina dubbi: «Londra: aspettiamo prove dell’Onu. Assad minaccia di attaccare l’Europa».

Un sogno liberatorio

Io ho un sogno liberatorio. Leggere un giorno una prima pagina così: «Sulla Siria non si capisce un cavolo. Obama cerca di salvare la faccia e vuole lanciare un po’ di missili, ma pochi, per non fare arrabbiare troppo Russia, Cina e Iran. Intanto il massacro in Siria continua anche senza la chimica. E poi chi si fida degli oppositori di Assad zeppi di Jihadisti? Meglio il vecchio despota Assad che -dicono gli Usa- teniamo sotto schiaffo attraverso Israele piuttosto che Al Qaeda. Sempre gli Usa: male che vada, faremo come i Bush con Saddam. Con due guerre, ma alla fine poi lo abbiamo appeso». Bella gente vero?

Tags: giornalismo
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