In Kosovo vidi, e fu la strage di Račak a far decollare i caccia bombardieri Nato. Della Siria leggo soltanto. Ma anche ad essere testimoni sul campo, davvero hai la verità più vicina? Dalle prudenti cronache del Corsera del dopo “Bombe umanitarie” sulla fu Jugoslavia. Scrive Massimo Nava. «Non è la morte, ma la modalità del morire a smuovere politica, diplomazia e giudizi su una guerra. Non è un massacro in sé, ma le responsabilità che i media gli attribuiscono a modificare il corso degli avvenimenti».
Racak è il villaggio del Kosovo in cui, il 16 gennaio 1999, vennero trovati i cadaveri di 45 albanesi, in parte ammassati lungo un sentiero, molti mutilati. «Un crimine contro l’ umanità», tuonò allora William Walker, il diplomatico americano a capo della missione dell’ Osce. «A nulla servirono i dubbi emersi già all’indomani del massacro, testimonianze di diversi giornalisti arrivati sul posto, i rapporti mai definitivi e mai resi pubblici dei funzionari dell’Osce», scrive Nava il 16 aprile 2000.
Anni addietro scrissi su Gnosis: «To interpret the facts through what one sees on the field should be the rule of many professions. Since I practice television journalism, it is my rule». Leggere i fatti attraverso ciò che vedi. Ma a Račak non seppi leggere subito l’altra faccia della luna Kosovo. Da allora ho imparato che anche ciò che vedi -che ti viene mostrato- può essere un abile strumento dell’inganno. Per gli amici oppositori siriani preciso: non affermo che ciò stia accadendo ora anche in Siria, ma voi tenetene contro, è il consiglio.
La realtà sul campo, vista dall’altezza di un cacciabombardiere, viene certamente deformata. E la democrazia sganciata dall’alto può provocare terribili effetti collaterali.