
È opportuno mettersi bene in testa questo concetto prima di andare ad analizzare l’ennesima crisi scoppiata alla periferia dell’impero zarista. Ieri due marce contrapposte, una imponente dell’opposizione dell’altra più striminzita pro governativa, hanno segnato la giornata. Dopo l’elezione di Lukashenko si vive una fase di stand by. Inutile girarci intorno: l’Occidente ci gioca sopra. La sua diplomazia è quella di mettere in difficoltà i suoi nemici, Cina e Russia, cercando di sfruttarne tutti i momenti di debolezza. E per Putin, quando cadono i calcinacci dell’ex Unione Sovietica si accendono ancora tutte le lampadine rosse, perché viene rimessa in discussione tutta la sua strategia difensiva. Od offensiva, dipende dai punti di vista.
La Bielorussia è un vecchio molare cariato di Mosca. Ha sempre rappresentato un fedele satellite da assistere e sovvenzionare, ma anche un sicuro parafulmine da utilizzare come ammortizzatore tattico e strategico nei momenti di crisi. Un cuscinetto, insomma, buono per dare spazio e respiro alle vedute geopolitiche di Mosca. Il motivo della rissa politica è ormai noto: alle ultime elezioni il vecchio Presidente “russofilo”, Alexander Lukashenko è stato rieletto con una percentuale quasi bulgara dell’80,10%. Apriti cielo. L’opposizione ha parlato di brogli e violenze. Cioè ha scoperto l’acqua calda, perché l’andazzo della democrazia (si fa per dire) bielorussa è stato questo almeno negli ultimi trent’anni. Adesso però tempi e società sono cambiati e anche i politicanti.
Putin non è una mammoletta, ma è intelligente e da statista avveduto capisce che non si può tirare la corda più di tanto. Per cui, visto che la Russia non rinuncerà mai al cuscinetto della Bielorussia, è più facile che zar Vladimir butti a mare Luckashenko e lo sostituisca con qualcuno di suo gradimento e che non irriti troppo la popolazione. Perché, rispetto alla crisi ucraina, qui gli scenari sono radicalmente diversi. Non c’è tanto un sentimento anti-russo, quanto piuttosto il desiderio di liberarsi di un despota che ormai è assurto a simbolo di tutte le magagne del passato. Nessuna guerra per Minsk, dunque, ma soltanto la necessità di elaborare una diplomazia che guardi lontano e alla sostanza delle cose.
Chi alla Nato pensa di divertirsi mettendo in difficoltà la Russia, dovrebbe prima preoccuparsi dei problemi in casa propria, a cominciare dai pericolosi attriti tra Grecia e Turchia.