
Un giorno sono tutti virologi, la mattina dopo urbanisti e sul calar della sera botanici di chiara fama. Poi, indifferentemente, massimi esperti di politica internazionale, con idee chiarissime sulla strategia della tensione: mandanti, esecutori, piste strampalate comprese. Nel fine settimana certezze assolute sul calcio. E questa è anche una cosa bella, una valvola di sfogo a fronte di tanti impegni politici, sociali, ambientali e virtuali, seduti davanti al pc.
Già perché l’esperienza che determina queste sapienze avviene quasi solamente davanti allo schermo. Non nelle notti insonni passate piegati sui libri, o nella realtà, dissodando con la vanga un campo arido, viaggiando sui treni regionali o ascoltando i suoni della vita. La realtà e lo studio fanno parte del passato.
Vale per i politici che presi dalla fretta di dover dichiarare, quindi apparire, confondono continenti e propongono una lettura delle storia basata sul bignamino dell’improvvisazione a casaccio. Vale per quei giornalisti che sontuosamente interpretano nel migliore dei modi questa mediocrità al potere, celebrando il proprio ruolo di detentori di conoscenze assolute e indiscutibili, griffate sulla camicia. Vale quindi per i cittadini che fanno di questa scuola la loro vela per surfare sulla realtà senza mai avere un’idea precisa di quello che rappresenta.
Alla fine di questo gioco al massacro, di conoscenze e di spirito della comunità, restano macerie di tutto. E sulle macerie camminano spavaldi i più tosti. Non i migliori, non quelli che prendono a cuore, che hanno quindi coraggio, che fanno della cura e dell’attenzione una misura. Prevalgono quelli che sono adatti nel sistema darwiniano. Che poi è alla base di ogni culto della sopraffazione.
Ma siamo sicuri che in natura prevalga questo concetto? E che nella comunità non si debba tessere l’antico filo delle relazioni, della solidarietà, della proposta in positivo, della cura e dell’attenzione per il prossimo? Basta non accettare la logica del più forte, del più resistente, del più adatto alla società pessima che stiamo costruendo. Non accettare l’idea che si debba andare in battaglia virtuale, con le armi delle certezze assolute spesso ignoranti, per sopraffare a ogni costo l’avversario, fosse anche il vicino di casa.
Riprendere il filo, tessere e non distruggere. Creare rete e relazioni, ascolto e misura. Non ferocia e supremazia. Così, per essere rivoluzionari nell’epoca del conformismo social.