
Stati Uniti e Repubblica Popolare Cinese stanno diventando sempre meno comunicanti dopo che, negli ultimi due decenni, si era invece verificato un processo di integrazione tra le economie e i circuiti digitali delle due superpotenze.
A Donald Trump non è bastata la guerra contro i colossi informatici cinesi Huawei e Zte, contro i quali è riuscito a mobilitare anche i principali alleati occidentali sulla delicata questione della tecnologia 5G.
E non gli basta neppure il bando, ormai imminente, contro il social network cinese “Tik Tok”, dedicato soprattutto alla diffusione dei video musicali e diventato ben presto assai popolare anche in Occidente, in particolare tra il pubblico giovanile.
Ora la guerra digitale assume connotazioni ancora più forti. Nel mirino di Washington entra infatti pure la app “WeChat”, un servizio di messaggeria universale sviluppato dalla società cinese Tencent, e disponibile per i dispositivi Android, nonché per gli iPhone e Windows Phone.
E’ utilizzata soprattutto nella Repubblica Popolare ma, col tempo, è divenuta una sorta di ponte tra le economie americana e cinese. Può essere paragonata a WhatsApp, che fa parte del gruppo Facebook e, scaricata sui cellulari, consente operazioni impensabili fino a pochi anni orsono.
Il problema è che WhatsApp, al pari di Facebook, Google e ogni dispositivo occidentale, in Cina è proibita, e ai cittadini cinesi non è consentito accedere. WeChat svolge nella Repubblica Popolare le stesse funzioni ed è diffusissima.
A differenza dei cinesi cui non è consentito usare WhatsApp, tuttavia, i cittadini occidentali possono scaricare WeChat, che risulta molto utile per coloro che con la Repubblica Popolare, e con le nazioni orientali in genere, intrattengono rapporti economici e d’affari.
Il sospetto Usa è sempre lo stesso. Il governo americano accusa pure WeChat di essere uno strumento che Pechino utilizza a piene mani per controllare i dati dei cittadini occidentali mettendoli a disposizione del Partito Comunista Cinese.
Lo stesso copione, insomma, utilizzato contro Huawei, Zte e più recentemente Tik Tok. I sospetti non sono privi di fondamento poiché tutte le aziende cinesi, di qualunque tipo, sono strettamente collegate al governo e non potrebbero, se richieste, rifiutarsi di fornire i dati di cui sopra.
A tutto ciò si aggiungono altri sospetti, questa volta riguardanti il mondo universitario. Gli Usa, seguiti ormai seguiti da tanti Paesi occidentali (Italia esclusa), stanno procedendo speditamente a chiudere i celebri “Centri Confucio” aperti negli atenei di tutto il mondo con il sostegno finanziario di Pechino. Sono accusati di essere, più che istituzioni culturali volte a promuovere lingua e cultura cinese, centri di spionaggio e cassa di risonanza della propaganda del Partito Comunista.
Comunque sia, il fatto è che la Repubblica Popolare costituisce un grande mercato di sbocco per le aziende hi-tech Usa, ad esempio per gli iphone che sono diventati una sorta di status symbol per molti giovani cinesi. Ma nella Repubblica Popolare un iphone senza WeChat diventa in pratica inutilizzabile.
In Occidente gli Apple Store non potranno più fornire l’applicazione made in China, e le aziende Usa nutrono ovviamente grande preoccupazione per la possibile perdita dell’enorme mercato cinese.
Con questo Trump, pur in scadenza di mandato, porta ai massimi livelli la sua strategia di “decoupling” (disaccoppiamento) tra l’economia Usa e quella cinese, senza troppo curarsi delle ricadute di tale strategia negli stessi Stati Uniti.
Se dovesse ottenere il secondo mandato presidenziale nelle elezioni del 3 novembre è facilmente ipotizzabile la continuità nel distacco, forse addirittura accentuato. Non si è ancora capito, invece, cosa accadrebbe in caso di vittoria democratica, che molti giudicano probabile.
Joe Biden, che ha numerosi punti di vantaggio nei sondaggi, ha a più riprese criticato la Repubblica Popolare sul tema dei diritti umani, ma senza far capire in modo chiaro che cosa farebbe in materia di rapporti economici e commerciali con il Dragone. Ed è, questo, uno degli aspetti che rendono le prossime elezioni presidenziali Usa un rebus difficile da decifrare.