Ciuffi di “cardinal” dai petali carminio punteggiano il torrente accanto all’entrata del “Brookside cemetery”. Nell’angolo di un prato c’è la tomba di Marguerite Yourcenar.
Non sapevo fosse sepolta qui. Bisogna proprio andare a cercare la piccola lapide a terra – una spanna per lato. Trasmette una calma bucolica questo cimitero in un assolato pomeriggio d’estate.
La stessa forse che trovava la scrittrice nella sua casa, a una manciata di chilometri da qui.
In una baia della Mount Desert Island, gioiello naturale dalle tinte pacate immerso tra isole e aragoste in Maine.
Qui quasi finiscono gli Stati Uniti e poco oltre inizia il Canada, tra fari abbarbicati sugli scogli e distese di betulle miste a conifere.
Qui la Yourcenar concluse la stesura delle sue “Memorie di Adriano”.
Viste da quest’angolo d’America invece le memorie – o l’eredità – di un presidente che sta per terminare il suo mandato (quello attuale terminerà anche in caso di vittoria) non potrebbero offrire un contrasto più acuto.
La saggezza, l’amore per la filosofia e le arti, i sentimenti appassionati per le vicende umane di quell’imperatore, il suo precario equilibrio tra ragione e destino. Da una parte c’è questo, ricostruito e plasmato nelle parole senza tempo della Yourcenar.
Dall’altra, un presidente che taluni accusano di atteggiarsi a “imperatore“, le sue troppe parole lontane dalla verità, il suo cabotaggio incerto e fallace, la scarsa frequentazione con la Storia e la Scienza, la malcelata assenza di empatia per il dramma che squassa il paese, come dimostrano i fatti.
L’esercizio della memoria dovrebbe offrire una bussola per il presente. Invece quelle e altre Memorie – quelle del passato – svaniscono nel tripudio di un ego smisurato e avaro di letture.
Visto da qui, davanti all’Oceano, meglio tralasciare le news su Twitter e tuffarsi nelle pagine di quel libro.
Dove Adriano/Yourcenar rivela che la parola scritta “m’ha insegnato ad ascoltare la voce umana”.
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Un autentico capolavoro in cui vengono affrontati tematiche che fanno parte integrante della nostra stessa vita e società attuali. Quasi un libro premonitore. Protagonista assoluto, lo stuolo di conflitti umani che ancora oggi ci logorano. In primo luogo, la difficile convivenza tra popoli di cultura, religione ed etnia differenti.
“Quando si saranno alleviate sempre più le schiavitù inutili, si saranno scongiurate le sventure non necessarie, resterà sempre, per tenere in esercizio le virtù eroiche dell’uomo, la lunga serie dei mali veri e propri: la morte, la vecchiaia, le malattie inguaribili, l’amore non corrisposto, l’amicizia respinta o tradita, la mediocrità d’una vita meno vasta dei nostri progetti e più opaca dei nostri sogni: tutte le sciagure provocate dalla natura divina delle cose”.
Il rifiuto della diversità, la tragedia umana per eccellenza, ieri, oggi e sempre. Ciò che rende impossibile la convivenza tra gli uomini. La Yourcenar prende a cuore queste differenze. Adriano è arrivato all’età di sessant’anni ed è gravemente malato. Decide così di raccontare la sua vita e di esprimere i suoi punti di vista, in relazione a varie tematiche. Lo fa attraverso una lettera, indirizzata a suo nipote adottivo Marco Aurelio. Il giovane è destinato a prendere il suo posto: diventerà a sua volta imperatore.
“Come Ulisse ho viaggiato per 7 anni in cerca della mia Itaca… gli approdi che via via mi vedevano rifocillarmi alle altrui fonti non facevano altro che allontanarmi sempre più dalla mia patria, e sempre più smarrita mi scoprivo…. infine… l’ho trovata…. la mia Itaca… (… e mi accorsi… quanto sia vantaggioso essere un uomo nuovo… solo… quasi senza avi… un Ulisse senz’altra Itaca che quella interiore…)”
Adriano è arrivato all’età di sessant’anni ed è gravemente malato. Decide così di raccontare la sua vita e di esprimere i suoi punti di vista, in relazione a varie tematiche. Lo fa attraverso una lettera, indirizzata a suo nipote adottivo Marco Aurelio destinato a prendere il suo posto. L’imperatore e i momenti salienti della sua esistenza
“Se, per miracolo, qualche secolo venisse aggiunto ai pochi giorni che mi restano, rifarei le stesse cose, persino gli stessi errori, frequenterei gli stessi Olimpi e i medesimi Inferi”.
Ogni cosa, si sa, ha un inizio ed una fine. Perché la vita dovrebbe sfuggire, dunque, a questa regola? Non c’è tristezza, non c’è malinconia, nella narrazione, che avviene in prima persona. C’è piuttosto un inno alla vita, in ogni pagina, un invito ad assaporarla da ogni angolazione.
“La nostra vita è breve: parliamo continuamente dei secoli che hanno preceduto il nostro o di quelli che lo seguiranno, come se ci fossero totalmente estranei; li sfioravo, tuttavia, nei miei giochi di pietra: le mura che faccio puntellare sono ancora calde del contatto di corpi scomparsi; mani che non esistono ancora carezzeranno i fusti di queste colonne”.
Adriano ripercorre così tutte le sue imprese, le battute di caccia, il nuoto, le lunghe cavalcate. Un uomo così vicino a noi, Adriano, benché sia vissuto oltre duemila anni fa. Un uomo che si è lasciato andare al richiamo dell’amore, ogni volta che ha potuto. Si abbandona, poi, al ricordo del suo amante, amato, Antinoo. Un ricordo d’amore, ma anche doloroso, a motivo della prematura quanto improvvisa scomparsa di quest’ultimo.
“Tutto crollò intorno a me, tutto sembrò spegnersi. Zeus Olimpico, il Salvatore del mondo precipitò: non vi fu più che un uomo dai capelli grigi che singhiozzava sul ponte di una barca…”
Con questo espediente, la Yourcenar ha l’occasione di affrontare un tema molto delicato, quale quello dell’omosessualità. E lo fa con grande modernità ed apertura mentale. Perché l’amore può essere considerato tale, in ogni forma.
Adriano è svincolato totalmente dall’idea del divino e del trascendente. Vissuto nell’epoca a cavallo fra la caduta degli dei pagani e l’avvento del Cristianesimo, l’imperatore è semplicemente un uomo, un umanista ante litteram. Un uomo con i suoi punti di forza e le sue debolezze. Facile, dunque, per il lettore, ritrovarsi in Adriano, malgrado la differente collocazione temporale.
“Esser dio, in fin dei conti, obbliga ad una maggior numero di virtù che non essere imperatore”.
L’uomo di Adriano è al centro del mondo, non essendo assorbito da alcuna religione e non essendo proiettato verso il trascendente. Egli è davvero fabbro della sua fortuna, a patto che ne raggiunga la consapevolezza e non ceda ai limiti imposti da una condotta intrisa di pregiudizi e barriere mentali. Nell’uomo concepito al centro del mondo, al di là di ogni differenza di sorta (sociale, economica e culturale) risiede l’autentica modernità dell’imperatore. Adriano, uomo che impera ma che non divide, fautore dell’uguaglianza tra i popoli e tra gli uomini.
“Una parte dei nostri mali dipende dal fatto che troppi uomini sono oltraggiosamente ricchi o disperatamente poveri…”.
Leggendo Adriano, ci immedesimiamo in lui. Un’opera che abbatte le distanze, geografiche quanto temporali. L’uomo Adriano termina dove inizia il suo lettore e viceversa, in uno scambio reciproco come avverrebbe in un autentico dialogo. E quell’invito implicito, in ogni pagina, a gustare la felicità quando è presente, senza inquinarla con la volgarità e ciò che è meschino, ma solo elevandola abbracciandola, senza esitazione alcuna.
“Qualsiasi felicità è un capolavoro: il minimo errore la falsa, la minima esitazione la incrina, la minima grossolanità la deturpa, la minima insulsaggine la degrada”.