
Vecchi titoli a valore 100 pagati circa 54,5 dollari
Accordo sulla ristrutturazione del debito di 67 miliardi di dollari. Terza fallimento dello Stato dal dopoguerra. «La Repubblica argentina e i rappresentanti del Grupo Ad Hoc de Bonistas Argentinos, del Comité de Acreedores de Argentina e del Grupo de Bonistas del Canje ed altri – sostiene il comunicato ufficiale – sono giunti ad un accordo oggi che permetterà ai membri dei tre gruppi di appoggiare la proposta di ristrutturazione del debito dell’Argentina e offrirà alla Repubblica un alleggerimento significativo del suo debito».
In base all’accordo raggiunto, «l’Argentina modificherà alcune delle date di pagamento per i nuovi titoli ma questo non aumenterà il pagamento totale del capitale o i pagamenti degli interessi che l’Argentina si impegna a realizzare, migliorando allo stesso tempo il valore della proposta per la comunità dei creditori». La sostituzione dei vecchi titoli con nuovi sulla base di un riconoscimento di circa 54,5 dollari per ogni 100 di valore nominale.
La mediazione del Fondo monetario internazionale punto di forza. Il Ceo della banca d’affari JP. Morgan, Jamie Dimon, disposto a «perdere 500 milioni di dollari» affinché quel Paese cresca. «Abbiamo concesso un prestito complesso all’Argentina – ha poi detto – perché siamo stati presenti nel Paese da 75 anni. Adesso loro hanno un nuovo grande presidente che sa quello che sta facendo». E infine: «Potremmo perdere 500 milioni di dollari, ma se li perdiamo per far sì che quel Paese possa rimettersi in piedi, non credo si tratti di un errore, credo sia quello che si deve fare».
La trattativa si è svolta in un contesto economico gravemente recessivo: negli ultimi due anni il tasso di crescita del Pil argentino è crollato. La pandemia del Covid-19 ha aggiunto un pesante fardello di incertezza per gli investitori. Le stime del Fondo monetario internazionale prevedono che quest’anno l’economia argentina si contrarrà del 9,9 per cento. L’inflazione al 50% annuo è l’altro tallone d’Achille, una vera e propria mannaia abbattuta sul potere di acquisto delle classi sociali più deboli.
Un’eredità del governo precedente di Mauricio Macri, liberista, la cui elezione venne salutata con grande entusiasmo dagli investitori e operatori. Delusi poi dai risultati acquisiti: Macri, oltre all’inflazione, ha fatto schizzare il debito pubblico in percentuale al pil, dal 52% del 2015 al 90% del 2019. La soluzione con i creditori allontana comunque il pericolo di una grave instabilità finanziaria nella regione che avrebbe amplificato le preoccupazioni per la recessione globale in corso.