«L’epoca del petrolio arabo è quasi al tramonto» avverte The Economist. Cosa ci aspetta?

I bilanci degli Statui arabi petroliferi non quadrano più. Il petrolio vale sempre meno e loro sono stati sino a ieri spendaccioni.  Il covid-19 ha fatto precipitare il prezzo del petrolio ai minimi storici perché le persone hanno smesso di spostarsi. Molti Stati in gran parte arabi sono sull’orlo della bancarotta, e non ci sarà un ‘dopo Covid petrolifero’: «Le economie globali si stanno allontanando dai combustibili fossili».

Un assaggio di futuro

The Economist ripreso a tradotto su Internazionale. «Le economie globali si stanno allontanando dai combustibili fossili. A causa della sovrapproduzione e della crescente competitività delle fonti di energia più pulite, il petrolio potrebbe continuare a costare poco anche nel prossimo futuro. Il recente sconvolgimento nei mercati petroliferi non è un’aberrazione, ma un assaggio del futuro. Il mondo è entrato in un’epoca di prezzi bassi e le regioni più colpite saranno il Medio Oriente e il Nordafrica».

L’intuizione del Principe assassino

«Quattro anni fa il principe ereditario Mohammed bin Salman (omicidio Khashoggi), che di fatto governa l’Arabia Saudita, ha presentato un piano chiamato Vision 2030 che aveva l’obiettivo di emancipare la sua economia dal petrolio. Molti paesi vicini hanno la loro versione di questo piano. Tuttavia “il 2030 è diventato il 2020”, dichiara un consulente del principe». Rendita da petrolio, da mille miliardi di dollari nel 2012 a 575 miliardi nel 2019.

«Quest’anno i paesi arabi dovrebbero guadagnare circa 300 miliardi di dollari dalla vendita del petrolio, una cifra che non basta nemmeno a coprire le loro spese».

I più ricchi della regione

«Partiamo dai produttori di petrolio più ricchi della regione, che possono affrontare nel breve periodo i prezzi bassi. Il Qatar e gli Emirati Arabi Uniti possiedono enormi fondi sovrani. L’Arabia Saudita, la più grande economia della regione, ha riserve di valuta estera per un valore di 444 miliardi di dollari, sufficienti a coprire due anni di spese al ritmo attuale».

Spendaccioni pre Covid

«A febbraio, prima che l’epidemia di coronavirus esplodesse nel Golfo, il Fondo monetario internazionale prevedeva che i paesi del Consiglio di cooperazione del Golfo (Ccg) – Bahrein, Kuwait, Oman, Qatar, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti – avrebbero esaurito i loro duemila miliardi di dollari di riserve entro il 2034». Da allora l’Arabia Saudita ha speso almeno 45 miliardi di dollari delle sue riserve liquide.

La svalutazione colpirebbe i redditi reali in un paese che importa praticamente tutto. “Ci troviamo davanti a una crisi come il mondo non ne ha mai viste nella storia moderna”, afferma il ministro delle finanze Mohammed Al Jadaan.

Turismo religioso (e soldi relativi) addio

La città santa della Mecca è chiusa agli stranieri da febbraio. Nel 2019 il pellegrinaggio annuale aveva attirato nel paese 2,6 milioni di pellegrini; quest’anno il limite massimo è stato fissato a mille.

Ritorno nelle piazze

«Nel frattempo monta la rabbia dell’opinione pubblica. I sauditi si lamentano delle nuove tasse, il cui peso ricade soprattutto sui più poveri. “Perché Mbs (Il principe assassino) non tassa i ricchi?”, si lamentano i disoccupati sui social. “Perché non vende il suo yatch e non si mette a vivere come noi?”, chiede una madre di quattro figli nel nord del paese, dove il principe sta costruendo altri palazzi».

Proteste violente in Iraq, Algeria, Libano

«I governanti della regione non possono più permettersi di comprare la lealtà della opinione pubblica». Ed è ‘effetto Domino’. Esempio: «Più di 2,5 milioni di egiziani, quasi il 3 per cento della popolazione del paese, lavorano in paesi arabi che esportano petrolio». Il 5 per cento da Libano e Giordania, 9 per cento dalla Palestina. I soldi che mandano a casa costituiscono una parte considerevole delle economie dei loro Paesi.

Anche gli affari ne risentiranno

«I produttori di petrolio sono anche grandi mercati per altri paesi arabi. Nel 2018 hanno assorbito il 21 per cento delle esportazioni dall’Egitto, il 32 per cento dalla Giordania e il 38 per cento dal Libano». «Paesi del Golfo ridimensionati e impoveriti avranno molti più consumatori a bassa capacità di spesa». E sarà rovina a macchia d’olio.

Anche meno turisti ricchi

«In Libano i turisti provenienti da tre soli paesi -Kuwait, Arabia Saudita ed Emirati Arabi- rappresentano un terzo di quanto speso in totale dai turisti. La maggior parte dei turisti in Egitto proviene dall’Europa, ma i turisti del Golfo si fermano di più e spendono più soldi nei ristoranti, nei bar e nei centri commerciali». «È improbabile che sloveni o singaporiani facciano lo stesso».

Fine incidente storico

«In un certo senso gli stati del Golfo sono diventati snodi di potere e influenza nel Medio Oriente per un mero incidente storico». Prima del petrolio a governare la regione erano le grandi capitali arabe dell’antichità, Il Cairo, Damasco, Baghdad, i la Persia ora Iran. Adesso la storia si rincorre, e saranno sconvolgimenti e dolori.

Fine dei petrodollari

«L’Egitto non riceve più soldi da anni. Nessuno dei paesi del Golfo sembra disposto a salvare dalla bancarotta il Libano. Nel 2018 la Giordania ha dovuto implorare di ricevere un pacchetto di aiuti di 2,5 miliardi di dollari in cinque anni dai paesi del Golfo, metà di quello che aveva avuto nel 2011».

Credibilità  Usa devastata da Trump

«Un Medio Oriente meno centrale nella fornitura globale di energia sarà un Medio Oriente meno importante per gli Stati Uniti. La Russia potrebbe subentrare per riempire il vuoto, ma i suoi interessi regionali sono limitati, così come la sua determinazione a mantenere il suo porto sul Mediterraneo a Tartus, in Siria». Ma la Cina è pronta.

Pechino ha un ponte da vendere

Sta già accadendo in Iran, dove le sanzioni Usa favoriscono accordi di investimenti di lungo periodo in base al quale aziende cinesi potrebbero costruire di tutto, dai porti alle telecomunicazioni. «Il declino dei prezzi del petrolio potrebbe imporre questo modello agli stati arabi e forse complicare ancora di più ciò che resta dei loro rapporti con Washington».
Condividi:
Altri Articoli
Remocontro