
Sintesi dei fatti. «Nei giorni scorsi si è riacceso un focolaio di crisi dimenticato da anni, la cui recrudescenza potrebbe, alla lunga, rimettere in discussione i rapporti fra due potenze come Russia e Turchia. Stiamo parlando del confine tra l’Armenia cristiana, storicamente appoggiata da Mosca, e l’Azerbaijan musulmano sostenuto da Ankara. Da quando il 12 luglio 2020 sono ricominciati fra le opposte truppe scontri che non si erano visti su vasta scala dall’aprile 2016, è tornato alla ribalta il Caucaso, con le sue fratture etniche sovrapposte a preziosi pozzi petroliferi con annessi oleodotti», scrive Mirko Molteni su Analisi Difesa.
Anche l’origine degli scontri degli ultimi giorni sembra avvolta nel mistero, ricorda Molteni. Accuse contrapposte e solo dato certo che, per la prima volta, grossi scontri si sono sviluppati lungo un tratto settentrionale della loro frontiera, anziché a ridosso della zona meridionale del Nagorno-Karabakh, il territorio a maggioranza armena che Yerevan sottrasse con le armi a Baku col crollo dell’Unione Sovietica.
Bugia contro bugia dopo scambio di cannonate, ma ancora senza un perché chiaro. Ma al secondo giorno della crisi gli azeri riprendono più pesantemente l’azione amata mentre nelle stesse ore la Turchia, da anni ferrea alleata dell’Azerbaijan, esprime la sua solidarietà non richiesta al paese musulmano. Legittimi sospetti di parte armena e non soltanto. Yerevan comunque continua a gettare acqua sul fuoco delle dichiarazioni, a contrario della parte azera-turca. Duelli di artiglieria e persino un generale azero ucciso, ma Mosca ancora tace.
Gli azeri mettono in campo droni Elbit Hermes 900 di fabbricazione israeliana, e gli armeni mettono in allerta alcuni dei caccia supersonici Sukhoi Su-30SM che la Russia ha consegnato da pochi mesi all’aeronautica di Yerevan. Troppo poco tempo per saperli usare in guerra.
Il portavoce del Cremlino Dimitri Peskov: «Richiamiamo entrambe le parti affinché mostrino contegno e osservino le condizioni del cessate il fuoco», e la Russia si propone come mediatore. Ma la guerra di propaganda degli opposti nazionalismi caucasici continua. Con Mosca pompiere e Ankara incendiaria. Mirko Molteni su Analisi Difesa traccia scenari di possibile guerra aperta e bersagli da paura tra centrali nucleari e dighe. Per ora e per fortuna, i politico locali sparano soprattutto cazzate. Grave l’evocazione del genocidio armeno da parte turco ottomana. Problemi nel governo dell’Azerbaijan, col il licenziamento improvviso del ministro degli Esteri.
Armenia e Azerbaijan si affrontarono da quasi 30 anni. Guerra aperta che tra il 1992 e il 1994 causò forse 30.000 morti, per il possesso della regione del Nagorno Karabakh, l’ex ‘Karabakh Superiore’ autonomo dell’URSS, assegnato alla Repubblica Sovietica dell’Azerbaijan ma in realtà popolato in maggioranza da armeni. Dal 1992 la dichiarazione di indipendenza del Nagorno Karabakh, col nome armeno d’Artsakh, staterello mai riconosciuto dall’ONU, di circa 150.000 abitanti. Da allora lo stato ufficioso dell’Artsakh sopravvive sotto l’ala protettrice dell’Armenia.
«E’ difficile pensare che Armenia e Azerbaijan possano davvero andare alla guerra totale, dato che gli incidenti di questi giorni sembrano il risultato sopratutto di aspibnte esterne, di ispirazione turca, come messaggio indiretto alla Russia», la valutazione condivisibile di Mirko Molteni. Ma il rischio strategico planetario vero è ciò che si sta muovendo tra Ankara e Mosca. Sino a dove intense spingere eventuali progetti neo ottomani Erdogan, e sino a dove lo consentirà il Cremlino.
Le tensioni armate Armenia e Azerbaijan vanno a toccare il territorio dove transita l’oleodotto Baku-Tbilisi-Ceyhan, lungo oltre 1700 km, che porta 50 milioni di tonnellate di greggio azero all’anno fino al porto turco di Ceyhan, sul Mediterraneo. E il parallelo gasdotto Baku-Tblisi-Erzurum, che porta 25 miliardi di metri cubi di metano all’anno a Erzurum, dove si connette al TANAP, il gasdotto trans anatolico, che verrà presto collegato alla TAP per l’immissione nella rete italiana a Brindisi. Infrastrutture fondamentali per l’approvvigionamento energetico dell’Europa.
Con giochi doppi o tripli molto sospettabili dietro questa ‘piccola guerra pigra’ ma molto molto pericolosa.