Tutto è cominciato il 7 luglio scorso, quando Hristo Ivanov, leader di un movimento di opposizione si è filmato mentre tentava di sbarcare su un tratto della costa del mar Nero di proprietà pubblica. Agenti di polizia in borghese lo hanno letteralmente ributtato in acqua, mostrando come la spiaggia sia di fatto e di prepotenza riservata per uso privato di un politico e influente uomo d’affari, Ahmed Dogan, che anche se non ricopre incarichi pubblici è considerato molto vicino al premier.
Il video, diventato virale, ha provocato la condanna del presidente Rumen Radev, esponente socialista, il cui partito all’opposizione e i cui contrasti col premier potrebbero degenerare in una crisi politico-istituzionale. «Due giorni dopo, gli uffici presidenziali di Radev sono stati oggetto di un raid della polizia, che ha anche arrestato due membri dello staff del presidente». Corrotti e squadristi. L’indignazione della opinione pubblica, si è così trasformata in rabbia e proteste di piazza che chiedono le dimissioni del governo
La tensione è stata ulteriormente esacerbata da una serie di video e immagini imbarazzanti sui funzionari del governo, tra cui lo stesso Borisov, circolate sui social media e sulla stampa. Tra queste, una foto del premier mezzo nudo addormentato in un letto accanto al quale si vedono una pistola, mazzette di denaro contante e persino lingotti d’oro. Borisov ha confermato che la stanza è sua, ma ha detto che la pistola e il denaro non lo sono e che le immagini sono state manipolate. Poi ha promesso un rimpasto di governo.
La rabbia popolare si concentra anche contro il procuratore generale del paese, Ivan Geshev, considerato l’emblema di un sistema giudiziario corrotto e piegato alle volontà del governo e degli oligarchi. E il 13 luglio, persino l’ambasciata americana ha pubblicato una dichiarazione a sostegno delle proteste. Usa con interessi strategici in campo, ma Unione europea colpevolmente silente, forse per paura di altre spinte euroscettiche dal fronte ex comunista, come già avviene con Polonia e Ungheria.
Il presidente Radev che ha appoggiato apertamente le proteste, accusa il premier e il procuratore capo Geshev di gestire “un governo di mafiosi”.