
Una sorta di ‘internazionale’ di sbirri e oltre. A caccia di cosa? Processo di portata mondiale ma seminascosto, e questo dovrebbe già suscitare molto sospetti. Marina Forti ci aiuta: «Il più grande caso di corruzione internazionale in cui sia mai stata coinvolta l’industria petrolifera mondiale». Esagerata per un processo contro ‘Scaroni e altri’? A guardare tra gli ‘altri’, 13 imputati, scopri l’attuale amministratore delegato Eni Claudio Descalzi oltre suo predecessore Paolo Scaroni che infelicemente battezza col suo nome il fascicolo giudiziario, il faccendiere Luigi Bisignani, l’ex vicepresidente della Royal Dutch Shellm, Malcolm Brinded, e l’ex ministro del petrolio nigeriano Dan Etete. Oltre alle aziende Eni e Shell. Uno scandalo finanziario che dalla Nigeria sconfina nei Paesi Bassi, in Italia e nel Regno Unito, con propaggini fino agli Stati Uniti.
Tutto ruota intorno alla concessione petrolifera marina (Opl 245), al largo del delta del fiume Niger. È considerato il più grande giacimento in Africa, con una riserva stimata di nove miliardi di barili di greggio, e fa gola. «Nel 2011 l’Eni e la Shell si sono aggiudicate la licenza per sfruttarlo in cambio di un miliardo e trecento milioni di dollari». Ma, si scopre successivamente che gran parte di quel denaro è finita alla Malabu oil & gas, azienda che rivendicava un diritto sul giacimento, e dietro a cui si nasconde l’ex ministro nigeriano del petrolio Dan Etete, tra gli imputati a Milano. Corrotto il ministro, pare certo, ma Eni e Shell erano così ingenue da non aver capito in quali tasche sarebbe finito il loro denaro? O corruzione o stupidità. Eni dice di aver avuto solo regolari transazioni con il governo federale della Nigeria. Se poi la Nigeria ha i ladro in casa governativa…
Sulle tracce dei soldi. «Per acquisire la licenza di sfruttamento del blocco Opl 245, l’Eni versa un miliardo e 92 milioni di dollari su un conto intestato alla Repubblica federale della Nigeria presso la banca J.P. Morgan a Londra. Fin qui tutto normale: solo che quei soldi, accreditati il 24 maggio 2011, dopo un paio di mesi sono scomparsi». A scandalo esploso, il tenente-colonnello della guardia di finanza Alessandro Ferri scopre che quel miliardo e rotti, dalla J.P. Morgan passa alla Banca della Svizzera italiana (Bsi), conto dell’azienda Petro service, titolare il viceconsole onorario italiano in Nigeria Gianfranco Falcioni. Ma guarda il caso! La storia puzza tanto che la stessa banca svizzera blocca il traferimento del denaro.
Ora un dettaglio per sorridere: il console italiano titolare in Nigeria, dichiara di aver nominato Falcioni viceconsole onorario perché gli fu suggerito da un dirigente dell’agenzia informazioni e sicurezza esterna (Aise), i servizi segreti esteri
Secondo tentativo di trasferire il denaro, tramite un conto bancario in Libano. Altro giro, agosto 2011, dal conto londinese partono due bonifici di 400 milioni di dollari ciascuno su conti intestati alla Malabu, firma del ministro che dà ordine di pagare la sua stessa azienda o ‘dintorni’, con qualche ‘spicciolo’ perso per strada. Spezzettamento del tesoro attraverso la mano di Abubakar Aliyu, braccio destro dell’allora presidente della repubblica Goodluck Jonathan.
Aliyu, in Nigeria è al centro di diverse indagini della super procura contro la corruzione che ha ripreso slancio nel 2015, da quando si è insediato l’attuale presidente Buhari, eletto proprio con un programma di lotta alla corruzione. Nel 2011 però il signor Aliyu era ancora onnipotente e dai conti che controllava sono partiti mille rivoli di denaro. Debra LaPrevotte, ex agente dell’Fbi, che fino al 2015 dirigeva un gruppo chiamato Cleptocracy Unit (bel nome vero?), spiega ai giudici di Milano altri trucchi e inganni. E dubbi. Tutte tasche nicaraguensi a riempirsi?
Ma quali sono le responsabilità dell’Eni e della Shell in questa gigantesca sottrazione di fondi ai danni dello stato della Nigeria? Luigi Zingales, docente di finanza all’università di Chicago, per un anno nel consiglio d’amministrazione dell’Eni, nominato dal ministero delle finanze. «Che ci fossero dubbi sul caso Opl 245 lo sapevo già prima della mia nomina, l’avevo letto in un articolo dell’Economist». Strani intermediari in mezzo (L’Eni negava esistessero). Zingales fece una nota di dubbio e poi cessò dall’incarico. L’intermediario scovato da Zingales, Emeka Obi si è poi rivolto a un tribunale d’arbitrato commerciale, a Londra, incassando alla fine un centinaio di milioni. Quindi l’intermediazione negata c’era, e quasi certamente non solo quella.
Indagini giudiziarie poi avviate nei Paesi Bassi e in Nigeria, e l’esposto alla procura di Milano presentato nel settembre 2013 dalle britanniche Global Witness e Corner House, e l’italiana Re:Common. È l’esposto da cui è nato il processo in corso. Riro abbreviato per due imputati, e nella sentenza di condanna la giudice Giusy Barbara scrive che i vertici dell’Eni sapevano fin dal 2007 che la Malabu apparteneva al controverso ex ministro Etete. E scrive di Descalzi, numero uno Eni, “prono di fronte alle pretese di Bisignani, un privato cittadino il cui nome era già emerso in alcune delle inchieste più scottanti della storia giudiziaria italiana”.
In Nigeria c’è molto interesse per il processo a Milano. Il governo nigeriano è parte civile e ha intentato anche una parallela causa civile per risarcimenti. Peggio: la procura nigeriana per i reati finanziari e intende chiamare in causa anche l’Eni e la Shell (oltre a diverse figure del precedente governo nigeriano). Il 13 novembre il governo della Nigeria ha presentato una nuova causa civile al tribunale di Londra: chiede all’Eni e alla Shell risarcimenti per 1,1 miliardi di dollari.
All’inizio del dibattimento, il pubblico ministero De Pasquale sottolineava che “la corruzione mina lo sviluppo di un paese”. «In Nigeria, il danno della corruzione legata all’affare Opl 245 è gigantesco: quel miliardo sottratto alle casse dello stato equivale al bilancio del ministero dell’istruzione per l’anno 2018», sottolinea Marina Forti. Quello che dovrà stabilire il processo in corso a Milano è se di questa gigantesca truffa siano corresponsabili anche le due compagnie petrolifere.