
Dopo 4 giorni di scontri al confine, il bilancio è già molto pesante: 11 morti fra gli azeri, compreso un generale. E 4 morti fra gli armeni. Con la tensione che non accenna a calare. A distanza, scambio di accuse feroci fra le due capitali che di fatto sono in guerra da quasi 30 anni.
Il premier armeno Nikola Pashinian ammonisce Baku: “Se continuate ad attaccarci, le conseguenze per voi saranno imprevedibili”. Gli risponde a stretto giro il presidente azero Ilham Aliev: “Un’altra provocazione e saremo costretti ad intervenire a protezione della nostra integrità territoriale”.
Da Ankara, non perde l’occasione di tuonare l’alleato storico dell’Azerbaidjan: “Attenzione”, ammonisce il Ministro degli Esteri turco Chavusoglu. “I nostri fratelli azeri non sono soli. Proteggeremo la loro sovranità”. In mezzo, la Russia ma anche gli Stati Uniti. Finora inutili, però, i loro appelli al cessate-il-fuoco e a non cedere alle provocazioni.
Già ai ferri corti per la regione del Nagorno-Karabakh, che di fatto fu annessa dall’Armenia, ora il conflitto si riaccende in un’altra zona di confine. Sostanzialmente d’accordo tutti gli analisti di vicende caucasiche: in tempo di pandemia, quel che sta accadendo è la più efficace “arma di distrazione di massa” per le rispettive opinioni pubbliche. In piena crisi economica, con contagi e morti in crescita preoccupante sia a Baku che a Erevan, forse è davvero il modo migliore per incoraggiare patriottismo e unità nazionale…