
Se ti fermi a parlare con qualcuno di cose semplici e ovvie, tipo l’ingiustizia sociale radicata, la povertà crescente, la privatizzazione costante del bene comune, la narrazione tossica che sostiene ogni efferatezza, la cultura trasformata in intrattenimento sciocco, ti rendi conto di come dialetticamente sia impossibile affrontare le basi semplici di come funziona il sistema, perché questa discussione è fuori dalla narrazione principale e unica.
Gli sfruttati, in un modo o nell’altro, si battono per difendere gli interessi degli sfruttatori. I cittadini, ai quali viene sottratta la sanità pubblica di base a favore di una sanità privata ad uso dei più agiati, ai quali viene tolta la scuola pubblica per finanziare la privata, discutono del niente ma non si preoccupano di perdere diritti essenziali. Di vedere i propri figli in topaie scolastiche, di aspettare sei mesi per una Tac, di vedere un bosco trasformato in legname, un prato in una spianata di cemento.
Felici in un mondo scintillante in cui l’avversario per tutti sembra essere il più povero, il precario, chi prova a capire e ad opporsi a questo fascismo così liberale e assoluto.
“Nel liberismo parlavamo di marginalizzazione, si poteva sognare di tornare al centro. Il neoliberismo parla cinicamente di esclusione, se si è esclusi da un’istituzione non c’è nessuna possibilità di ritorno. La frase più cinica di questo secolo è quella del giornalista ed economista americano Samuelson che ha scritto sul Newsweek: La guerra contro la povertà è terminata ed i poveri hanno perso. Cioè il capitalismo non deve mai preoccuparsi del problema della povertà, la povertà è un effetto naturale dell’avanzare del sistema capitalista. Cioè il processo di accumulazione sarà possibile solo se sarà accettato naturalmente il processo di esclusione”.
Ed ancora: “Nel liberismo parlavamo di produzione, nel neoliberismo parliamo di speculazione. Se si ha un capitale, non è importante sapere che cosa voi producete, ma come si moltiplica il capitale…” Con questa regola ferrea non conta altro che la capacità di moltiplicazione. Il caso Narcos fa scuola. E dimostra un fatto indiscutibile: decenni di arresti e di lotta al traffico internazionale di stupefacenti, ma il sistema è più florido e intoccabile che mai.
Un altro elemento chiave, in questa fase storica, è il mostrare continuamente e mediaticamente l’azione efferata come dolcemente necessaria. L’amplificare le guerre per finalità benefiche, quelle per rimuovere dittatori, o per distruggere i signori della droga o le mafie. Una variazione sul tema: destabilizzare l’ordine pubblico per stabilizzare l’ordine politico. Ora è: destabilizzare mediaticamente i teleutenti per meglio stabilizzare i mercati, quindi l’ordine, in ogni sua declinazione. E la chiave dell’assuefazione si percepisce nelle battaglie per i diritti civili, come dice Frei Betto: “… il cui contenuto è borghese”. Quindi l’opposizione alla ferocia si limita a una richiesta di diritti minimi che non incidono sull’essenza della crudeltà del sistema di ingiustizie.
Per meglio capire questa deriva, utile leggere ancora Frei Betto: “Il liberismo parlava di cultura, il neoliberismo abbandona il concetto di cultura per il concetto di intrattenimento. La televisione in molti dei nostri paesi fa solo intrattenimento e non cultura. L’intrattenimento è il risultato della logica di decontestualizzazione; quanto più io ignoro il contesto in cui vivo, tanto meglio è per il sistema; quanto più entro nella logica della frantumazione dei fatti, tanto meglio è per il sistema”.
Mi è piaciuto rileggere queste parole scritte 24 anni fa. In questi decenni abbiamo visto la società percorrere esattamente questa parabola ottusa fatta di privatizzazioni, false promesse, precarizzazione crescente, innalzamento di muri per dividere il mondo tra ricchi e poveri. Non solo sui confini, ma ovunque. Nelle città, nelle campagne. Muri talvolta invisibili e ancora più brutali. Perché indiscutibili. E noi, preoccupati dell’ultima polemica mediatica sul niente, continueremo ad accapigliarsi su questioncelle minori o proveremo a sottrarci dalla narrazione tossica per riprenderci la vita, i diritti, una giustizia sociale e ambientale che ci faccia pensare a un futuro diverso per i nostri figli?
[Fonte delle parole di Frei Betto: Rete Radiè Resch, Atti del convegno “La resistenza degli esclusi