
Il paese dei cedri è un melting pot di culture, religioni ed etnie dove si scaricano le tensioni provenienti da tutto il Medio Oriente. Inutile dire, che la pandemia da Coronavirus ha complicato in modo prevedibile uno stato di crisi che era già evidente da alcuni anni. In parole povere, la situazione finanziaria è sull’orlo del cosiddetto “crash and panicking”. Un’espressione che nella teoria economica sta a significare una crisi di liquidità capace di annichilire tutto il risparmio privato. Le banche, sul modello della sindrome greca e di quella cipriota, hanno preso misure drastiche per quanto riguarda la possibilità di effettuare prelievi. In sostanza, i risparmiatori non sono liberi di riavere indietro i propri soldi, semplicemente perché gli istituti di credito hanno le casse desolatamente vuote.
E’ una classica situazione che si crea quando gli impieghi di medio e lungo termine e i cosiddetti crediti “problematici” espongono le banche ai contraccolpi della crisi finanziaria. Semplicemente, i soldi depositati sono stati impiegati malaccortamente per operazioni di sostegno al credito che hanno provocato default a raffica. E siccome l’economia è fatta di aspettative, quando i risparmiatori hanno percepito l’aria che tirava sono corsi a salvare il salvabile trovando però gli sportelli sbarrati.
Naturalmente, la crisi commerciale internazionale ha colpito in maniera selettiva i paesi come il Libano che rappresentavano un vero e proprio emporio di libero scambio con tutte le aree del Medio Oriente. Non solo non si produce più come prima, ma quei pochi beni e servizi che vengono messi sul mercato non trovano facilmente acquirenti. Il Libano paga così un dazio pesantissimo, come quello che sta interessando tutti i sistemi produttivi “export oriented”. Secondo quanto ha dichiarato l’Alto Commissario delle Nazioni Unite, una larga parte della popolazione libanese rischia di morire di fame.
In particolare, l’area più fragile dei diseredati è quella costituita da circa 1 milione e 700 mila rifugiati siriani. Negli ultimi mesi, si calcola che almeno 250 mila immigrati abbiano perso il posto di lavoro o abbiano subito considerevoli riduzioni del livello dei salari. L’ONU si rivolge al governo e alle forze politiche perché varino immediatamente un pacchetto di riforme che riguardino i settori strategici dell’economia: dall’energia all’alimentazione, dalla salute fino all’istruzione. Gli analisti pensano che la peggiore crisi economica della storia del Libano sia anche frutto delle lotte intestine che agitano il Paese. In particolare, si mette in evidenza la netta contrapposizione esistente tra le forze sciite di Hezbollah e il blocco israelo – americano.
D’altro canto, che la situazione sia tragica è riportato da una serie di inchieste condotte dal World Business Report della Bbc. La prestigiosa televisione britannica parla senza mezzi termini di situazione sull’orlo della rivolta popolare e cita il rapido e quotidiano deprezzamento della valuta nazionale libanese. Il poderoso processo inflazionistico instauratosi sta erodendo il potere d’acquisto dei salari e la gente, sempre più disperata, è sull’orlo di una crisi di nervi.
Secondo gli analisti inglesi, la situazione diventerà presto incontrollabile e la crisi economica e finanziaria potrebbe essere un detonatore potentissimo per tutte le tensioni etniche, politiche e religiose che covano sotto la cenere.