Unendo puntini: della differenza tra condividere e dividere con

Unendo puntini. Come in quel gioco antico della Settimana Enigmistica così amato dai bambini: unendo i puntini con un tratto di matita, emerge una figura nascosta nello spazio punteggiato. Invisibile al primo sguardo, si rivela tratto dopo tratto. 

Anche nella vita è così. Tra mille furbetti del proprio interesse, ogni tanto salta fuori qualcuno che invece di prendersi tutti i puntini chiudendoli in un cassetto, li condivide. Immaginate che quei puntini possano essere persone, conoscenze, amicizie. E che fuori dallo scrigno dell’interesse minimo e privato, questa rete, puntino dopo puntino, vada a creare un sistema di relazioni e di creatività che spalanca a nuove visioni del mondo, generando relazioni che non c’erano, agendo sul mistero dell’incontro. Il mistero, quello che precede il dono. 

Lo so, stamattina l’abbiamo presa sul fumoso. Ogni tanto serve fermarsi a riflettere sul dettaglio, sulla bellezza di chi abbiamo davanti e agisce come bene nella comunità. Ascoltare e accendere la domanda. Purtroppo attraversiamo le strade della nostra vita, accidentate da mille certezze assolute, da un eccesso di parole, da culti che non hanno più niente di sacro, e talvolta neanche di umano. 

Per esempio “condivisione”, l’uso comune ne sta svuotando il significato. Condividere, nel linguaggio corrente esprime la speranza del successo, il gioco dei tanti che si fanno carico della foto, del pensiero, dell’idea di uno da trasportare ovunque. “Mi hai condiviso?”

Non più condividere come: dividere con.  Spartire con altri.  Qualcosa che contiene una visione e un con, per fare un’azione insieme, nella reciprocità. Non un passaggio dall’alto verso il basso perché poi si diffonda come virus, ma un sistema di relazioni. 

Mi viene in mente una persona da citare, Maurizio Masini. Lui, che di mestiere fa il docente universitario, potendo per esperienza e carisma farsi condividere dall’alto della cattedra, ha invece scelto di unire i puntini. Generosamente, perché donare l’incontro è atto dolcemente sovversivo. (Nel registro dell’avere il donatore ha qualcosa in meno e il beneficiario in più. Inaccettabile in questo sistema valoriale di profitto fine a se stesso). Quindi secondo le stringenti regole del tempo: non conviene. Non conviene privarsi di un contatto, di una persona amica, per mettere a disposizione dell’altro le relazioni. Significa dilapidare averi e poteri. Agire nell’essenza non nell’abbondanza.

Già, ed è il bello del dono, il dilapidare. Perché contiene reciprocità, se non doniamo solo qualcosa che si ha, ma chi si è.  E mette in campo un’idea di essenza straordinariamente fertile.

Continuiamo così, camminando domandando, a veleggiare senza paura, lontano dai lidi comodi del conformismo e di quello che in apparenza sembra perfetto e lucido e che rappresenta il danno che ci ingabbia. Continuiamo a costruire utopie concrete, ad amare chi mette insieme persone e ascolto, viaggiando alla ricerca di una forma sconosciuta, da conquistare insieme. Dividendo con gli altri una visione.

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