
Quando si parla dei rapporti tra Italia e Cina, è inevitabile constatare una certa confusione nella nostra politica estera verso il gigante asiatico. Indubbiamente Pechino ha in Italia parecchi amici e forze politiche che puntano a un rafforzamento delle relazioni bilaterali.
Inevitabile pensare al M5S che, con alcuni dei suoi esponenti di punta, non cessa di ribadire la necessità di un tale rafforzamento, ignorando i moniti più o meno espliciti che provengono dagli alleati tradizionali, e in primis dagli Stati Uniti.
La sorprendente visita di Beppe Grillo all’ambasciata cinese a Roma ha fornito una raffigurazione plastica di tale situazione, e in seguito molte dichiarazioni di altri rappresentanti M5S ha ulteriormente confermato la loro “simpatia” verso il regime di Pechino.
Il silenzio ufficiale del nostro governo sulla repressione a Hong Kong costituisce un altro indizio, e forse il più importante. Il ministro degli Esteri Di Maio non ha mai smentito la sua celebre affermazione secondo cui Hong Kong è un “affare interno” cinese.
C’è tuttavia un problema di cui è difficile individuare i contorni. E il problema è dato dal fatto che i grillini non sono affatto soli al governo, anche se ne costituiscono la componente maggioritaria.
Da parecchie dichiarazioni si desume che il Partito Democratico, seconda forza di governo quanto a consistenza numerica – parlo dei parlamentari, non dei sondaggi – non è molto convinto che la linea di Di Maio sia quella giusta. E questo è ancor più vero per la terza componente, “Italia Viva” capeggiata da Matteo Renzi.
Resta però il fatto che, nella pratica, è l’approccio grillino a prevalere, né risulta che i partiti alleati abbiano minacciato di aprire una crisi su questo tema. Nel frattempo, come si diceva dianzi, Usa e Unione Europea manifestano perplessità di un certo spessore.
Le forze di centro-destra hanno assunto sulla questione una posizione di critica netta, invitando il governo a modificare la propria posizione. Ma, anche in questo caso, non è tutto chiaro. L’ambasciata cinese ha infatti replicato a Salvini rammentandogli le sue precedenti simpatie per la Repubblica Popolare (e addirittura per la Corea del Nord, con le famose visite a Pyongyang).
Sembra quasi che il mondo politico italiano nel suo complesso non riesca a condurre una riflessione seria sui rapporti con la Cina, e ciò vale anche per molti di coloro che in pubblico criticano la Repubblica Popolare con durezza.
I motivi, a ben guardare, non sono poi così misteriosi. La “globalizzazione cinese” ha avuto un grande successo, e questo ha consentito a Pechino di acquisire posizioni di forza in molte nazioni del mondo occidentale, Italia inclusa.
Gli investimenti cinesi in Italia sono molti, variegati e sempre strategici. Cito un esempio significativo. L’attuale caos dei trasporti ha indotto Cosco, il colosso cinese dello shipping, a ventilare la possibilità di trasferire le proprie attività dal porto di Genova ad altri scali.
E’ bastato questo per far tremare i polsi al mondo imprenditoriale locale poiché, se la minaccia si concretizzasse, la Liguria e il suo capoluogo verrebbero messi in ginocchio. E non si tratta di un caso unico. Se la Cina decidesse di disfarsi delle molte aziende che ha acquistato in Italia per trasferirle altrove, il contraccolpo sarebbe disastroso.
Sono proprio queste le ragioni che spiegano perché sia così difficile contrapporsi in modo netto a Pechino su argomenti quali la repressione a Hong Kong e la difesa dei diritti umani.
La Repubblica Popolare ha avviato negli ultimi decenni una politica di espansione economica e commerciale di grande successo, e contrastarla ora comporta seri pericoli. Ciò non toglie che una riflessione complessiva da parte italiana sarebbe assai utile mentre, finora, dal nostro mondo politico si sentono solo slogan che non servono a nulla.