I cattivi maestri fanno bene al cuore

Ho fatto il giornalista per caso. Mi sarebbe piaciuto fare il commesso in un ministero o il custode in un museo. Mi piaceva l’idea di una doppia vita: qualche ora per guadagnarsi da vivere, il resto per studiare, pensare, progettare, inventare storie, alzare il calice. Purtroppo non è stato possibile. Quindi ho dovuto ripiegare sul giornalismo.

Mi sarebbe piaciuto fare un po’ di giornalismo gentile, di viaggi e narrazioni epiche, di poetiche visioni abbinate all’arte, alla musica, alla bellezza. Al limite seguire defilato  il corso degli eventi senza chiedere troppo al mestiere…

Ma i cattivi maestri mi hanno fatto sbagliare strada, facendomi credere che l’unico impegno civile possibile fosse quello di battersi per un mondo migliore, contro l’ingiustizia sociale, dalla parte degli ultimi. Quando mi sono reso conto di aver sbagliato strada, era troppo tardi. Come un topolino nella gabbia ero costretto a correre sul tapis roulant della storia, senza potermi fermare, senza poter far altro che proseguire o perdere tutto il terreno guadagnato.

Il fatto che fosse una gabbia, e il terreno un tapis roulant, è arrivato dopo nella coscienza. Quando si è giovani si corre. E ogni ostacolo va saltato. Poi si continua a correre. E piano piano lo spazio e il tempo si riducono a questo. Avanzare, ricordando vagamente l’obiettivo, perdendo di vista l’insieme. Ricominciando ogni giorno da capo, pensando che domani sarà meglio e che comunque il percorso ci avrebbe portato sulla cima di una montagna. O in una radura. O chissà dove.

Questa gabbia è il mondo intero. Questo tapis roulant è la vita. Tutti gli specchi e i giochini che vedi nella gabbia sono il successo, gli incarichi, i risultati. Se sei bravo e hai “killer instinct” prevarrai, se ne hai poco resisterai, se non ce l’hai ti assuefarai.

Ho detto cattivi maestri, e aggiungo: che amo. Perché occorre ricordare, portare sempre nel cuore, le persone che ti hanno spalancato una porta, che ti hanno fatto vedere che la realtà non è fatta solo da quella montagna di banalità conformiste indigeribili che ti rendono appassito prima ancora di fiorire alla vita. Sono queste le persone che ti hanno messo in testa senso critico e voglia di lottare, che ti hanno posto nelle condizioni di osare e spaccarti la testa, di sognare, sanguinare e continuare a costruire ponti di utopia, a pensare che l’utopia possa essere addirittura concreta. Sono loro che alla fine dei conti, dopo tutte le strade sbagliate e tutte le occasioni mandate in fumo perché era giusto così, ti hanno lasciato nella testa il seme per capire che l’unico modo di uscire dal labirinto è spaccarlo.

Detto, fatto. Fuori è scomodo, ma è bellissimo, è la vita.

Articolo precedente

L’Egitto dopo sette anni di Al Sisi, lo Stato al servizio del suo esercito

Articolo successivo

Migrante mangiagatti, bufale e bestialità varie – Noi in Svizzera con cigni e porcospini

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Most Popular

Remocontro