L’uovo di Colombo e la frittata americana. Scritto 10 anni prima di Trump ma già tante uova rotte

Un conto è l’abilità marinara e di cartografo di Cristoforo Colombo e altro sono le conseguenze della scoperta del Nuovo continente per le popolazioni indigene americane. Un conto la geniale intuizione di puntare a oriente navigando verso occidente, altro l’imprevisto di quel continente sconosciuto piazzato in mezzo all’ Oceano, lungo la presunta rotta  per le Indie. L’idea è giusta, i calcoli sbagliati, i risultati incerti. (Dal libro ‘Niente di vero sul fronte occidentale – Da Omero a Bush la verità sulla bugie di guerra)

Prima o poi l’America qualcuno l’avrebbe comunque scoperta.

Assomigliano a giustificazioni le mie, e un po’ lo sono, se queste stesse vicende cerchi di leggerle dal punto di vista di quegli indigeni americani che subiscono la successiva colonizzazione spagnola. Il fatto è che ho un dovere di solidarietà di nascita nei confronti di Cristoforo Colombo. Genovesi entrambi. Per me lo garantisce un banale certificato di nascita scritto da un impiegato dell’anagrafe, mentre per lui sono stati necessari centinaia di studiosi di mezzo mondo, impegnati da 500 anni a contenderselo. Giusta differenza fra lo scrivere di cronaca e il fare la Storia.

Tante eventuali patrie per Colombo nascono ovviamente dopo che quel bravo marinaio emigrato in Spagna in cerca di fortuna, scopre il Nuovo Mondo e segna il futuro del pianeta. Lo stesso che, diventato nel frattempo Cristobal Colon in Spagna, sarà rivendicato come conterraneo da castigliani, catalani e altri ancora. Fra i più originali ricordiamo un Cristoforo Colombo greco, un Colombo inglese, tre portoghesi e tre francesi con l’aggiunta di uno corso e persino uno svizzero, che con la navigazione non si sa bene come possa entrarci. C’è da dire che gli storici, quando sono arruolati dagli interessi nazionali di una parte, riescono a essere persino più creativi dei giornalisti.

Tra storia e maldicenza, il già citato mistero di papa Innocenzo VIII, che si attribuisce in morte d’aver assistito alla scoperta del Nuovo Mondo ufficialmente non ancora avvenuta. Fantapolitica su un Cristoforo Colombo agente papalino che  ha già scoperto quel continente, col pettegolezzo che egli sia figlio illegittimo dello stresso papa. Più significativa la personale chiacchierata con l’attuale Rabbino capo di Istanbul, io a rivendicare la comune genovesità con Colombo, lui a raccontarmi, nello spagnolo dei tempi di Isabella di Castiglia, delle origini certamente ebraiche dello stesso. Famiglia convertita, originaria di Piacenza.

Io opto per la storia su Colombo scritta dall’altro mio conterraneo, Paolo Emilio Taviani, storico e padre della Patria. Taviani, scomparso da qualche decennio, oltre che accanito studioso di Colombo, è stato capo partigiano nella lotta di liberazione dal fascismo, molte volte ministro e leader politico nel difficile dopoguerra italiano. Era democristiano e a me allora non piaceva. Ora politici come lui li rimpiangi.

Quànde  Zêna a l’ea ricca

Quando Colombo nasce, a metà del XV secolo, la Repubblica di Genova è uno Stato molto ricco. Il suo Banco di San Giorgio è una delle più grandi aziende finanziarie del tempo. I territori della piccola ma potente città marinara, oltre alla Liguria, comprendono la Corsica e le isole egee di Tasso, Metelino e Scio, il dominio di Famagosta nell’isola di Cipro, e di Amissa, Tana e Caffa sul Mar Nero. Molto più potere e danaro che territorio. E Genova, assieme alle altre grandi potenze economiche e marittime del tempo, si trova a fare i conti con l’ormai incerto passaggio verso i ricchi mercati orientali, minacciato dal dominio turco su Costantinopoli e sull’Oriente mediterraneo. Bloccate le vie della seta e delle spezie dall’India e dalla Cina, occorre cercare altre strade.

Cristoforo Colombo, ormai Cristòbal Colon, ha compiuto studi che lo hanno convinto della possibilità di arrivare al mitico e ricchissimo Katai descritto da Marco Polo, navigando nella direzione opposta. «Buscar el Levante por el Ponente», dice in spagnolo. Se giri attorno a una sfera lo puoi fare e la terra è appunto tonda. Colombo non è un genio isolato, un folle esperto di marina che vive nelle favole. In quell’epoca sta rinascendo in tutta Europa lo studio delle materie umanistiche, delle scienze matematiche e della tecnica. Questo nuovo fervore intellettuale produce anche notevoli progressi nel settore nautico. Essenziali l’astrolabio e la bussola. Il primo, ereditato dalla Grecia antica e perfezionato dagli astronomi arabi, attraverso il calcolo della distanza dalle stelle permette di conoscere la posizione di una nave in mare aperto. La bussola, che arriva in Europa nel XII secolo, ereditata forse dai vichinghi, forse dai cinesi, garantisce l’orientamento senza bisogno delle stelle. Contemporaneamente, carte nautiche sempre più precise consentono di aumentare le distanze percorribili per mare.

Ma decisiva è l’invenzione della caravella. Con quel buffo nome è chiamata una nave relativamente piccola, dai 22 ai 24 metri, che può andare sia di poppa, cioè con vento a favore, sia di bolina, risalendo il vento contrario. La sua grande velocità è dovuta alla forma della carena – la parte immersa dello scafo – molto stretta e che oppone minore resistenza all’acqua. Cristoforo Colombo non è certo il solo navigatore dell’epoca. È, se mai, il più fortunato: non solo scopre il Nuovo Mondo per un calcolo errato delle distanze, ma quel Nuovo Mondo si impone successivamente come la sola superpotenza del pianeta. Anche l’Oceania è allora da scoprire, ma nessuno oggi si ricorda di quando questo avviene. Dell’America sì.

Grazie all’America, agli Stati Uniti per essere esatti, esiste ancora il ricordo di Colombo e non viceversa.

Oggi molte guerre e operazioni di conquista sono motivate dal possesso del petrolio. Il petrolio di allora sono le spezie e la seta, e l’oriente da cui prenderle si chiama Cina. La conquista di Costantinopoli e del Bosforo da parte dei Turchi nel 1453 inizia a frenare il passaggio delle merci via terra dall’Asia all’Europa. Occorre trovare un’altra strada. Colombo sostiene che l’oro e l’argento ricavati dalle terre scoperte sarebbero utili per una nuova crociata per liberare la Terra Santa. Dieci anni di anticamera con i reali di Portogallo e Spagna prima di ottenere una risposta. Fino al 1492, anno in cui gli Spagnoli fanno capitolare lo Stato arabo di Granada, riunendo tutto il regno. Sicuri in casa propria, i sovrani iberici decidono che quell’oro e quell’argento, di cui favoleggia il marinaio genovese, sarebbero un toccasana per i forzieri vuoti della corona spagnola. Altro che nuova Crociata.

Il resto lo sappiamo. Il 3 Agosto 1492 Colombo salpa con la Niña, la Pinta e la Santa Maria verso le Indie. La traversata dura circa due mesi, molto più del previsto. Il suo progetto si basa sui calcoli del matematico fiorentino Paolo dal Pozzo Toscanelli, che ritiene la terra molto più piccola di quanto sia. Il 12 ottobre 1492, quando ormai l’equipaggio ha perso la speranza, le navi avvistano terra. Colombo sbarca su una piccola isola dell’arcipelago delle Antille che lui steso battezza San Salvador, e scopre poi Haiti e Cuba, convinto di aver raggiunto la parte più orientale dell’Asia.

L’Ammiraglio del mare Oceano nel 1504 torna dall’ultimo viaggio nelle sue Indie presunte, ma le sue fortune sono ormai terminate con la morte della regina Isabella. Finisce persino in galera. Muore nel 1506, dimenticato da tutti, mentre ancora insiste a parlare delle Indie quando ormai un altro italiano ha individuato quelle terre come un continente autonomo e si prepara a sottrargli la gloria di vederle battezzare col suo nome. Amerigo Vespucci, tra il 1499 e il 1502 esplora la costa americana occidentale in quattro successivi viaggi e disegna cartine molto dettagliate.

Il Nuovo Mondo diventa la terra di Amerigo. Muore Cristoforo Colombo e nasce l’America. 

Colombo è, come dicono tutti i libri scolastici, uno “scopritore” o la sua è piuttosto la conquista dei territori e delle ricchezze scoperte? Quesito ancora oggi senza risposta condivisa. Di fatto un impossibile processo alle intenzioni. La vocazione missionaria di Colombo sembra storicamente accertata. Altrettanto sappiamo della sua sensibilità mercantile. Che egli sia un uomo accorto riguardo alle questioni finanziarie è ben documentato dai capitolati, i contratti con i re di Spagna, firmati il 17 aprile del 1492. Cristoforo Colombo innanzitutto chiede e ottiene il titolo ereditario di Ammiraglio del mare Oceano. Tradotto in soldi, chiede e ottiene la decima parte di tutto l’oro, l’argento, le perle, le gemme e le altre mercanzie prodotte o acquistate per via di baratto o scavate entro i confini di quei domini, liberi da ogni tassa.

E visto che siamo in tema soldi, facciamo i conti in tasca anche ai re cattolici che sostengono l’impresa. L’intera spedizione, le tre navi, gli equipaggi e i viveri necessari, costano due milioni di maravedìs, la valuta spagnola di allora. Un milione e 140 mila maravedìs è sborsato dai monarchi, un altro mezzo milione da Colombo stesso, che ottiene un prestito dai banchieri genovesi Pinello, e i 360 mila maravedìs mancanti, sono l’onere imposto agli abitanti di Palos da cui l’impresa parte, costretti ad armare due caravelle di tasca loro. Ma quanto varrebbe oggi questo benedetto maravedì? L’ultimo studio sull’argomento è del 1979, e ci dice di un costo attuale di 854 mila dollari per tutta la spedizione. Tradotto in euro e aggiunti i venticinque anni di inflazione trascorsi da quello studio, potremmo ragionevolmente parlare di 2 milioni di euro. Più o meno il costo di un appartamento di lusso nel centro di Roma, non troppo grande però.

Conquista nel nome di Dio e del maravedì

Vediamo ora quanto ci guadagnano i re spagnoli. Un calcolo fatto dall’esploratore francese Jean-Baptiste Charcot, e limitato al ricavo ottenuto in un secolo dalla sola estrazione dei metalli preziosi americani, ci dice della strabiliante cifra di 1 milione e 733 mila maravedì per ogni maravedì impiegato a finanziare il viaggio di Colombo. Non serve grande sforzo matematico per immaginare oggi un euro che si moltiplica per un milione e 733 mila volte. Il problema è, se mai, quello di capire a chi quella incredibile, gigantesca montagna di ricchezza sia stata sottratta, visto che i soldi non si moltiplicano da soli.

Uno studioso americano contemporaneo, David E. Stannard, esattamente a 500 anni dalla coperta dell’America, nel 1992, ha pubblicato un saggio sulle conseguenze della colonizzazione del continente americano per opera dei bianchi europei giunti sulla rotta di Colombo.

Già nei primi 50 anni dal suo sbarco, massacri e malattie hanno decimano il 90 per cento delle popolazioni native. Nel corso di quattro secoli, la colonizzazione europea delle due Americhe produce più di 120 milioni di vittime. La parola che lo studioso usa per definire l’accaduto è genocidio. Strano destino quello del fervente cattolico Ammiraglio di Sua Maestà, che cerca le Indie in nome e per conto della corona di Spagna e di Isabella e Ferdinando di Castiglia, sovrani protettori della cristianità. Vuol essere  il messaggero del paradiso cristiano e si trova a traghettare conquistatori senza scrupoli che instaurano l’inferno sulla terra.

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