Vorremmo sentirvi dire: è stata colpa nostra

Nel loro oscillare privo di senso, i geniacci al potere in Lombardia da tempo fanno il gioco delle tre carte per nascondere la situazione sanitaria reale. Visti i comportamenti di questi mesi, sembra più che probabile che questo trucco prosegua.

Prendere decisioni a cavolo, farle raccontare dai media come fossero genialate, crederci addirittura e poi, se le conseguenze sono nefaste (quasi sempre) fingere che va tutto bene o scaricare la colpa sugli altri. Nel caso lombardo, in ordine sparso, sul governo centrale, sulla cattiva sorte, sul sentimento anti-lumbard, sui cittadini cattivissimi che non capiscono, sui giovani della movida.

Sono davvero incredibili. Dopo aver ceduto alle richieste di Confindustria che non voleva assolutamente si chiudessero le fabbriche, aver cavalcato l’onda di “tutto aperto!” perché la regione-pilota non si ferma, aver gestito la pandemia con la competenza e intelligenza di un comodino di legno impiallicciato e benedetto dall’ampolla padana, aver speso 25 milioni per un ospedale inutile che ha ospitato 25 pazienti, ancora sono lì a concionare su che cosa fare e che cosa non fare. Invece di andarsene a casa.

L’epoca ci offre questo. I piccoli Trump di casa nostra, perfetti nella loro incompetenza. Espressione plastica delle aspirazioni culturali del cittadino medio imbevuto dalla prosa dei guru del giornalismo di destra e dalla rozzezza delle arene televisive a urla e imbecilli che inveiscono davanti alla telecamera. Noi ci indigniamo e ce l’abbiamo con la loro dabbenaggine, solo perché, in fin dei conti, abbiamo ancora un pizzico di fiducia nella nostra sfibrata e asimmetrica democrazia. Però non siamo tonti e sappiamo che loro sono lì per altri interessi. E ci mettono la faccia. Di bronzo, tosta, ma faccia. Mentre i mandanti zitti zitti…

Complottismo, maddai. Più evidente di così. Eppure, fingendo che tutto sia normale, assistiamo a tutta la ferocia che solo il potere può possedere, contro chi non è causa di niente. Le povere vittime, gli operai, gli infermieri, i medici. E tutti gli altri nel mirino di questa follia: i cittadini che escono dalle case, che si sono beccati a causa di comportamenti efferati, una detenzione sanitaria obbligatoria. E oggi dovrebbero restare zitti e buoni a fare i compiti tra quattro mura. A fare licei da remoto, a non vedersi, a non fare niente di quello che dà il senso alla vita. Dopo la caccia al colpevole-runner, la caccia al possessore di cane, è partita la caccia al giovane con la birretta. Servizi, droni, assistenti civici, militari in campo. Media schierati come un sol uomo (chiedetevi il perché).

Non percepisco la stessa tensione mediatica e politica nella ricerca delle cause di questo sfacelo. Di quelle lontane nel tempo. Di quelle che ci hanno reso vulnerabili, inquinati allo stremo, devastati socialmente, in ginocchio umanamente con un sistema sanitario che soprattutto in Lombardia è stato disintegrato a vantaggio dei privati. Un’attenzione assurda contro il ragazzino senza mascherina e mai una sola voce che si alzi, dai salotti buoni dei paraculi del potere, a dire: è stata colpa nostra. O per lo meno: è stata anche colpa nostra.
Non una voce che dica: basta depredare il futuro, cerchiamo di guardare al domani dei nostri figli con onestà. Cerchiamo di dare a questi ragazzi un minimo di speranze per le quali battersi, un po’ di senso di responsabilità, per non diventare automi obbedienti con la mascherina in attesa di ordini. Vorrei si alzasse uno qualunque dalle poltrone comode ad ammettere lo sfacelo, la sudditanza, le notizie griffate fatte circolare sottilmente per rompere il patto sociale e il patto generazionale, per renderci ancora di più stupidamente feroci, belluini, cazzari, ululanti, razzisti, sostanzialmente schiavi.

Ma non accadrà. Il gioco delle tre carte è questo. Spetta a noi cittadini, reclusi, presi a pesci in faccia, presi per i fondelli, spalancare gli occhi. Smetterla di avere fiducia in processi decisionali infausti e osceni. Riprendere coraggio, riprendere la strada, la voglia di battersi per un’idea di giustizia, per il futuro dei figli. Lottare.

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