Il mio amico Karel, la più grande spia della Guerra fredda

Nel corso del mestiere d’avventura che ho caparbiamente voluto e che, per pura fortuna, sono riuscito a fare, ho avuto occasione di conoscere personaggi a dir poco singolari. Assassini al minuto e macellai all’ingrosso, ladri di polli e bancarottieri da consiglio d’amministrazione. E poi brigatisti, terroristi, faccendieri, mafiosi, trafficanti e spie. Tante spie, d’ogni nazionalità, ordine e grado. Con qualcuno di questi personaggi, confesso di essere arrivato a volte ai confini dell’amicizia. Sempre nello sforzo di capire per poter raccontare.

Il mio amico Karel

Una delle persone con cui sono entrato in confidenza si chiama Karel Koecher, è cecoslovacco ed è stato la più grande spia del blocco orientale ai tempi della Guerra fredda. La sua storia personale sembra una sceneggiatura hollywoodiana. Studente alla fine del grande macello mondiale nel ’45, il giovane Koecher vive la liberazione del suo Paese con l’arrivo dell’Armata Rossa. Koecher non ha dubbi sul fronte con cui schierarsi e, a fine studi, diventa agente della sicurezza interna, una spia di casa. Nei primi anni ‘60, piena Guerra fredda, anche per lui arriva la proposta che vale una vita. Fingersi feroce anticomunista che sceglie la libertà e lasciare il Paese assieme alla giovane moglie per ottenere rifugio in Occidente, negli Stati Uniti, e farsi adottare dai locali circoli di destra.

«E poi, una volta negli Stati Uniti?», chiede Koecher all’ufficiale del KGB che lo istruisce.
«Semplice. Devi farti arruolare dalla CIA».

Profugo a comando e anticomunista ben addestrato da Mosca, Karel sbarca davvero negli Stati Uniti, Middle West, coccolato dai comitati patriottici locali. Tiene discorsi anticomunisti incendiari, lavora e vince una borsa di studio al Massachussets Institute of Technology, la prestigiosa università di Boston. Testa mostruosa quel giovanotto dell’Est, al punto da essere chiamato, ancora universitario, a far parte del gruppo di analisi sulle questioni sovietiche del professor Zbigniew Brezinski, futuro consigliere per la sicurezza nazionale con la presidenza Carter.

Dottor Ph Karel Koecher al MIT

Il suo splendido dottorato lo rende intelligenza ambita per FBI, Dipartimento di Stato e aziende private, ma lui, ligio al dovere, sceglie la CIA. Come riesca a ingannare anche la macchina della verità fa parte di una lunga intervista dimenticata ora negli archivi Rai della vecchia e gloriosa rubrica giornalistica Tv7 creata da Sergio Zavoli (Ma voi potete vedervela alla fine del racconto). Resta il fatto che Koecher diventa un agente americano e sale costantemente di grado, sino a giungere al ruolo di capo degli analisti sulle questioni sovietiche. Tradotto per i non addetti ai lavori, chi tenta di dare un senso a tutti i frammenti di informazione che arrivano da fonti aperte, fonti riservate, diplomatici, agenti sul campo e traditori. Vuol dire insomma tentare di capire molto da quel poco che si sa.

Karel lavora con zelo all’Agenzia e, con puntualità, riferisce al rezident del KGB a New York (Un giorno vi racconto qualcosa anche di lui). Il sistema, antico quanto sicuro, è quello della ‘cassetta postale’. Ad esempio la lattina da cui bevi su di una panchina solitaria in Central Park, salvo poi lasciarla vuota di bibita ma piena di microfilm, per l’incaricato sovietico che proprio in quel momento sta portando il cane a fare la pipì.

Casa Bianca

Venti anni di infiltrazione profonda nell’intelligenza occulta dell’America senza un sospetto per Koecher, ormai cittadino perfettamente integrato e persino ricco, data l’abilità negli affari di sua moglie. Tutto alla grande. Sino alla crisi sovietica che porta il neo presidente Mikhail Gorbacev ad aprire alle riforme economiche e democratiche, fra glasnost e perestroika, trasparenza e ristrutturazione.  Nell’impatto il sistema sovietico scricchiola. E i leader dei paesi satellite del comunismo tremano.

Karel Koecher viene richiamato a Praga dopo vent’ anni di silenzio. Viaggio clandestino ovviamente per l’agente segreto americano, che nel suo Paese riceve nuovi ordini. Tornare negli Stati Uniti per dimettersi dall’Agenzia, chiudere bottega, affari, bella vita e prepararsi a rientrare definitivamente in Cecoslovacchia. Eroe nazionale tornato in patria per denunciare al mondo che è la CIA a muovere e finanziare quell’intellettuale anticomunista di Vaclav Havel, che minaccia di far cadere il regime di Praga.

Karel rientra a Washington, ma si guarda bene dall’eseguire gli ordini. Sa che oltre cortina tutto sta per cambiare, intuisce forse che sarà proprio Havel il primo presidente democratico della futura Repubblica Ceca. Fatto sta che quando Praga prende atto delle sue scelte, la mattina del 27 novembre 1984, alla porta del ricco appartamento dei coniugi Koecher, in uno dei grattacieli di New York, bussa l’FBI, che li ammanetta per spionaggio. Venduto dai suoi è l’evidenza.

L’arresto da parte dell’Fbi

La storia dell’infiltrato sovietico suscita scandalo in tutti gli Stati Uniti, e alla CIA brucia come non mai. Karel Koecher e la moglie Hann rischiano la pena di morte e, ben che vada, hanno la certezza di una vita in carcere quando, nel 1986, è proprio Gorbacev a tirarli fuori. Ultimo scambio di prigionieri politici nella storia della guerra fredda. Il presidente Reagan chiede a Mosca la liberazione del dissidente ebreo Anatoly Sharansky, e Gorbacev, quella di Koecher, la sua spia.

Lo scambio avviene a Postdam, in Germania, sul ponte di Glienicke che separa l’est dall’ovest. Alba gelida nell’epilogo della guerra fredda. Lo documentano le immagini televisive di allora, 11 febbraio 1986, nella cronaca inconfondibile di Demetrio Volcic. Anni dopo è Koecher, altra telecamera ma stesso ponte, che per fortuna non segna più alcun confine, a raccontarmi le sue emozioni e le sue paure nel breve ma infinito percorso che lo porta verso la libertà personale. 

Da quella rivisitazione di una pagina della storia, nasce con Karel anche una certa confidenza personale. La complicità fra intervistato e intervistatore. Al punto che, in una successiva inchiesta sui traffici di materiale nucleare dall’Unione Sovietica al tracollo, porto a Mosca, come interprete e producer di lusso, proprio Koecher, ormai squattrinato colonnello in pensione. Contatti eccezionali i suoi, occasione giornalistica unica la mia, ma questa è un’altra storia.

Da Praga a Mosca, ‘producer’ d’accezione

Koecher in quella circostanza mi racconta di come, al culmine della sua carriera di 007 da scrivania, uno dei suoi incarichi sia quello di analizzare le caratteristiche umane e professionali degli agenti operativi americani per elaborare una successione di sintesi estreme. Praticamente un ritratto in una o poche parole. La cosa mi incuriosisce e la vanità personale fa il resto.

«E io? Come mi definiresti se dovessi scrivere un’analisi su di me?»

Ma Karel è persona molto coscienziosa e riflessiva. E chiede tempo, perché un’analisi di quel tipo è cosa seria. Pochi giorni dopo, all’aeroporto di Smederevo, in partenza lui per Praga io per  Roma, prima di salutarci finalmente il responso.

«Sulla tua scheda avrei scritto semplicemente “incontrollabile”».

A botta calda e da giornalista mi lusingo, poi, lentamente, traduco i significati della parola. E capisco quale sentenza mi sia piombata addosso. Incontrollabile: persona non disposta a subire interferenze illecite.

Essere incontrollabile nel giornalismo, ho scoperto da tempo, non fa bene alla carriera e neppure alla serenità del vivere. Il giornalista incontrollabile è quello che con le sue cronache riesce a mandare in bestia sia i filoisraeliani che i filopalestinesi, i pro Milosevic e i contro, la destra di sempre e la sinistra quando mai arriva al governo. Tutti lo temono, pochi lo amano e nessuno lo vuole tra i piedi. Salvo emergenze, dove incontrollabile sta anche per incosciente, che toglie a tutti le castagne dal fuoco. Accidenti a Karel Koecher e a tutte le spie di questo mondo, che hanno fatto la spia anche su di me!

Tags: guerra spie
Condividi:
Altri Articoli
Remocontro