
Difficile capire il perché dell’improvvisa decisione non concordata o pianificata tra le due Forze Armate di dirottare verso l’Aeronautica i velivoli a decollo corto e atterraggio verticale, sottraendoli alla Marina, a meno che non si vogliano far decollare tali velivoli da basi con piste estremamente corte ma molto molto larghe, come nella famosa barzelletta (il pilota per traverso sulla pista che fa confusione). Sarebbe quasi da ridere se non si trattasse di una scelta che compromette gravemente l’operatività delle portaerei. Una scelta contro l’interesse della Difesa nel suo complesso, dato che togliendo i velivoli alla Marina si dilaziona, appunto, il raggiungimento della capacità operativa delle nostre portaerei.
È di questa settimana la notizia che dai mezzi aerei la contrapposizione si sarebbe spostata alle persone, con la sostituzione (anche questa sembra non concordata) di due Ammiragli in servizio allo Stato Maggiore della Difesa. Uno di questi, in aperto dissenso contro l’atteggiamento ‘poco interforze’ dell’attuale vertice, avrebbe deciso di rassegnare le dimissioni. Alcuni analisti ipotizzano anche una profonda rivisitazione del bilancio ordinario della Difesa, a favorire l’Aeronautica e penalizzare pesantemente sia la Marina che l’Esercito. Scelte che sembrano più il frutto di una rivalsa punitiva che il risultato di un ragionamento strategico ponderato.
Tutto ciò accade mentre le missioni navali italiane nel mondo tendono a crescere (Missione Ue di embargo armi alla Libia, ad esempio, e antipirateria ormai anche sull’Atlantico). Ciò nonostante, lo scontro interno a livello interforze non sembra aver provocato alcuna reazione o intervento da parte di chi ha la responsabilità politica della Difesa. Una reazione ormai indispensabile per evitare che, scelte incaute, apparentemente dettate da interessi di parte, possano danneggiare la funzionalità delle forze armate nell’interesse della sicurezza nazionale.