
Lo strumento nuovo, il Recovery fund, vale 750 miliardi, tra contributi a fondo perduto e prestiti a lunghissimo termine, a tassi minimi. Parliamo di qualcosa strettamente connesso al bilancio comunitario ed alla possibilità di anticipare risorse spendibili solo dal gennaio 2021. I rimborsi, invece, avverranno dal 2028 ed entro il 2058. C’è di che lavorare in tranquillità, senza l’incubo di fare fronte a scadenze imminenti ed incombenti.
Per adesso, siamo a livello di proposta, che dovrà essere approvata dai rappresentanti di tutti i Paesi. Sappiamo che alcuni -definiti “virtuosi”, ma in pratica “tirchi”- hanno già messo le mani avanti. Frapporranno sicuramente degli ostacoli, chiederanno condizioni. Si tratta, però, di Paesi molto legati alla Germania che, insieme con la Francia, ha lanciato la proposta di cui stiamo parlando. La Merkel saprà come ricondurli a più miti pretese. “Sempre Francia e Germania!”, avevano tuonato i duri e puri anti europei all’indomani della presentazione della proposta poi circostanziata, sottintendendo il ruolo succube dell’Italia.
Vero è che il nostro è uno dei Paesi fondatori dell’Unione ed il terzo per importanza, ma il suo atteggiamento, specie in questi ultimi anni, l’ha allontanato molto da una seria e pacata concertazione. Forse bisogna anche ricordare a questi amici contestatori che la storia di queste nazioni è stata sempre interconnessa, nel bene e nel male, purtroppo con un ruolo spesso subalterno dell’Italia, se guardiamo agli ultimi secoli.
Bisogna vedere adesso come l’Italia e l’Europa riusciranno a riavviare il sistema economico, con spirito di solidarietà ed in comune accordo. Grazie anche a questi provvedimenti che, a ben guardare, sottolineano anche l’esigenza di fronteggiare i due importanti competitor mondiali: USA e Cina.
Ma concentriamo le nostre considerazioni sull’Italia, partendo dal presupposto che qualche prezzo bisognerà pur pagare. L’Europa sta dimostrando di esserci, l’Italia non può pensare di continuare come ha sempre fatto. Anche per convincere i Paesi recalcitranti, dovrà realizzare almeno tre riforme: snellire le procedure amministrative; semplificare gli adempimenti fiscali; mettere mano alle competenze tra Stato centrale ed autonomie regionali. I primi due sono più facili: il governo era già al lavoro, prima che intervenisse l’emergenza. Il terzo, trattandosi di mettere mano al titolo V della Costituzione, richiede un iter più complesso. Si vedrà.
Queste semplificazioni dovrebbero in qualche modo ridurre le perplessità europee sulla nostra capacità di spendere al meglio le risorse che ci verranno messe a disposizione. Quando vuole, l’Italia sa anche muoversi bene e con rapidità. Così è avvenuto con il piano Junker, lo stesso non si può dire per i fondi strutturali e in particolare per il Fondo regionale europeo. Adesso, si tratta di concentrarsi su pochi ma importanti obiettivi strategici: investimenti sull’ambiente, sul digitale, sulle infrastrutture, specialmente quelle da mettere in sicurezza e riqualificare. Vedremo cosa sapranno fare gli italiani, sempre molto reattivi se messi alle strette.
A questo punto, un dato è certo: si allontana per tutti noi l’ipotesi di una imposta straordinaria, di una patrimoniale o quant’altro, per fare fronte al disastro del bilancio pubblico italiano. Abbiamo acquistato tempo e, soprattutto, possiamo abbattere moltissimo il costo dei finanziamenti, oltre che fruire di contributi a fondo perduto. Chi propone l’autarchia finanziaria, fidando sull’intervento del risparmio privato italiano, certamente rende un buon servizio agli investitori e risparmiatori che ci guadagnano ma, nel contempo, carica un costo, valutabile in parecchi miliardi negli anni, sul groppone di tutti noi.
Se in cambio dovesse chiederci di modernizzare l’organizzazione dello Stato, di far funzionare meglio il Paese, non sembra grave danno, anzi!