
Una fotografia satellitare probabilmente la prima prova concreta della presenza militare diretta della Russia in Libia. E’ stata scattata il 19 maggio, sulla base aerea di Al-Jufra, in pieno deserto libico, a 250 chilometri a sud di Sirte. Vi si vede un MIG-29 azzurro, il colore dei velivoli da combattimento in dotazione all’Aeronautica di Mosca. Stando a numerose fonti di intelligence arabe e occidentali, fa parte del gruppo di 10 aerei da guerra russi (6 Mig e 4 Sukhoi) che una settimana prima erano stati segnalati in volo sul mar Caspio, poi erano stati visti atterrare in un aeroporto militare dell’Iran, sostando infine nella base aerea russa di Hmeimim, in Siria. Che Mosca non abbia smentito, può voler dire che non si è trattato di un’operazione “top-secret” mal riuscita.
Appare evidente che il Cremlino abbia piuttosto voluto avvertire che, come avvenuto 5 anni fa con l’intervento militare in Siria, adesso la Russia sta entrando pesantemente in gioco anche in Libia, allargando dunque il proprio raggio d’azione in Medio Oriente. Non più solo con i 1.500 mercenari russi della compagnia privata Wagner. Non più solo con armi e munizioni per le milizie del generale Khalifa Haftar. Ora si alza il tiro e si spediscono in Libia i caccia-bombardieri per proteggere i territori controllati dal rais di Bengasi. I ricchi pozzi petroliferi di Sirte e della Cirenaica. Ma anche i giganteschi giacimenti di gas libico, nel Mediterraneo.
Per farlo, più che con il generale Haftar, che è sostenuto anche da Egitto, Emirati Arabi ed Israele, bisogna però scendere a patti con chi arma e finanzia il governo di Tripoli, ossia con la Turchia di Erdogan. Non è dunque un caso che, mentre le milizie di Al-Sarraj riconquistavano dopo 5 anni la grande base aerea di Al-Watiya, a sud di Tripoli, proprio i ministri degli Esteri di Turchia e Russia firmavano un comunicato congiunto per invitare le due fazioni libiche a cessare il fuoco.
Un comunicato, quello di Lavrov e di Cavusoglu, giunto all’indomani dell’ennesima trattativa fra Putin e Erdogan, condotta stavolta al telefono, a causa della pandemia. Come per la Siria, i due presidenti sono consapevoli di essere gli unici due top-player rimasti in campo anche nella partita libica. Aldilà delle bellicose dichiarazioni dei loro rispettivi protetti, né Mosca né Ankara sembrano minimamente disposti allo scontro diretto.
Approfittando dell’ormai conclamato disimpegno americano, Russia e Turchia procedono a grandi passi verso un ambizioso accordo di spartizione economica e geo-politica della Libia: la Tripolitania al Sultano ottomano, la Cirenaica allo zar di Mosca. Con buona pace dell’Italia e dell’Unione Europea…