L’arrotino marxiano e l’ideologia dominante

“Le idee della classe dominante sono in ogni epoca le idee dominanti; cioè la classe che è la potenza materiale dominante della società è in pari tempo la sua potenza spirituale dominante. La classe che dispone dei mezzi della produzione materiale dispone con ciò, in pari tempo, dei mezzi della produzione intellettuale, cosicché ad essa in complesso sono assoggettate le idee di coloro ai quali mancano i mezzi della produzione intellettuale. Le idee dominanti non sono altro che l’espressione ideale dei rapporti materiali dominanti, sono i rapporti materiali dominanti presi come idee: sono dunque l’espressione dei rapporti che appunto fanno di una classe la classe dominante, e dunque sono le idee del suo dominio”.

Caspita, mi suggerisce il barbiere alchimista di campagna, qui è tornato ad apparire il barbone birbone di Marx, a spiegarci come funziona la classe dominante e a che punto va collocata una certa produzione intellettuale.

A suggerirti questo incipit – ha aggiunto – deve essere stato quel filosofo arrotino marxiano che, a un certo punto della storia, è tornato all’azione, ad affilare le lame dei coltelli un po’ arrotondate, a far risplendere l’argenteria di famiglia.

Andrà tutto bene, beffardo il barbiere cammina con la sua lentezza rurale, lo sguardo verso l’orizzonte distante che ondulato disegna pensieri, e calpesta frasi fatte come fossero il prato fiorito di una villa.

La democrazia è asimmetrica, l’arma è spuntata. I rapporti di forza sono impari, e l’ideologia che sottende il funzionamento della società si regge su questo squilibrio di potere, abilmente declinato dalla narrazione dell’epoca. Parla come parlasse a un bambino… Ciò vuol dire che chi ha tratto profitti enormi dalla distruzione del bene comune, dalla cementificazione delle coste, dall’abbattimento dei boschi, dalla privatizzazione della sanità, dalla realizzazione di autostrade inutili, di grandi opere non necessarie, dallo sfruttamento dei lavoratori, dal modernissimo utilizzo di ogni forma di precariato per rendere mansueta ogni potenziale opposizione, oggi sta organizzando allegramente il futuro. Il futuro di tutti noi.

È nel loro Dna farlo. Purtroppo è nel nostro subirlo. Se non lotteremo, usciremo da questa crisi guidati dagli stessi, dai peggiori. Penso alla Lombardia e tremo. Cogliete i segnali, ragazzi. Osservate il cambiamento della posizione dei grandi giornali schierati come un sol uomo. Il crollo di certi fenomeni di un giornalismo da salotti buoni. Provate a sottrarvi dal rumore incessante della catena di montaggio delle polemiche giornaliere.

Ferma l’arringa e conclude: a noi cittadini spetta la lotta e lo studio, e dovremo lottare e non farci trovare impreparati, questo è sicuro. Per non farci travolgere da questa ondata perfida, per il futuro dei nostri figli.

Replico, timido: ma non era il silenzio una scelta opportuna a fronte del rumore del tempo? Chissà, ha risposto il barbiere citando l’arrotino marxiano: dialetticamente ogni cosa contiene anche il suo contrario. Ed è sgusciato via, come una lepre saltellante, tra le fronde degli alberi e il tramonto.

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