
«Ieri tre familiari dei 12 migranti lasciati morire in mare mentre 51 superstiti venivano segretamente rispediti in Libia, hanno depositato una “protesta giudiziaria” contro il premier laburista Robert Abela». Per fortuna Nello Scavo, inviato di Avvenire non molla, e indaga. E morde. «Il capo del governo è indagato con il vertici delle Forze armate». I legali hanno spiegato al giudice Joe Mifsud che l’operato degli squadroni navali nei giorni in cui venivano segnalati quattro barconi in pericolo è stato «illegale e pericoloso», come dimostra la ricostruzione e le immagini che vedremo tra poco.
Questa volta non si più far finta di non sapere. Il caso, costituisce una palese violazione di ogni accordo tra Stati; Italia-Malta ma anche delle leggi e dello spirito dell’Unione europea. E questa volta non c’è Londra a coprire spalle e malefatte.
Immagini, video e testimonianze mostrano un pattugliatore maltese indirizzare un gommone in avaria con 101 persone verso la Sicilia. E spunta un rifornimento di carburante e un nuovo motore. Il 12 aprile dell’era Covid, nelle acqua territoriali di Malta senza possibili discussioni. «Minacciati di essere riportati in Libia, li vediamo inseguiti da una motovedetta. Molti si gettano in acqua per non tornare nei campi di prigionia. Poi, equipaggiato di un nuovo motore fornito dagli stessi militari, il gommone riprende la rotta e si allontana. Niente di nuovo, se non fosse che a dirottare i migranti verso Pozzallo siano state le Forze armate maltesi».
«Stavolta ci sono i filmati, le foto, le testimonianze concordanti dei superstiti, le verifiche incrociate sulle scarse dotazioni alla partenza, dalla costa libica, e quelle rinvenute all’arrivo, nel porto di Pozzallo. E a peggiorare la posizione de La Valletta c’è un’aggravante. Dalle immagini si vede l’isola, segno che il barcone si trovava in acque territoriali, e dunque i profughi erano già ufficialmente a Malta e da lì in alcun modo potevano essere cacciati. Addirittura spinti segretamente verso un altro Paese dell’Ue».
L’inchiesta giornalistica pubblicata o in contemporanea da “Avvenire” e “The Guardian” costituisce un atto d’accusa senza precedenti. Le immagini chiare e incontestabili, ma saranno i dettagli a battere l’arroganza. Un barcone da affondamento quasi subito che percorre 500 chilometri con 101 migranti partiti dalla Libia arrivano, arrivati sani e salvi, a Pozzallo. Fortunati loro? Gli altri tre barconi partiti assieme, la “Strage di Pasquetta” imposta dalla flotta maltese dei respingimenti, sono già cibo per i pesci.
Ma i miracolati di Pozzallo parlano e mostrano filmati di strage navale procurata scientemente. In lontananza si vede la costa maltese. Segno che il gommone si trovava a non più di 6 miglia dalla terra ferma, comunque una distanza inferiore alle 12 miglia, il limite delle acque territoriali. I migranti, dunque, erano già ufficialmente a Malta e in alcun modo potevano essere allontanati. Ma i dettagli d’accusa dicevamo. Il motore con cui i trafficanti libici avevano messo in mare il barcone era uno scassatissimo fuoribordo cinese “Parsun Power” da tre soldi. A Pozzallo arrivano spinti spinto da un Yahama. Rimessaggio d’alto mare?
«Quando la nave militare si è avvicinata e ci ha minacciato con le armi, dicendo che dovevamo tornare in Libia, molti si sono buttati in acqua perché nessuno voleva tornare indietro. Vedevamo la costa e prima una barca bianca ci aveva lanciato i giubbotti di salvataggio». C’è anche un video. Nelle immagini non si vede alcun tentativo di salvataggio, ma solo la determinazione a fermare la fuga a nuoto verso la terra ferma. C’è chi il mare non lo aveva mai visto prima di quei giorni. Il timoniere spinge il mezzo militare tra le persone in acqua, per costringerle a tornare indietro. Virate repentine e veloci alzano il mare, con i migranti che sembrano tante piccole boe arancioni spazzate via dalle ondate.
Mentre gli sventurati riguadagnano a fatica i tubolari del gommone per mettersi in salvo, finalmente i guardacoste de La Valletta si avvicinano per tendere delle funi tra il barcone e la motovedetta consentendo a chi era rimasto in acqua di aggrapparsi e tornare sul gommone. E un militare maltese urla: «Malta è colpita da una grave malattia. I nostri porti sono chiusi e voi non potete entrare». Davanti all’insistenza del gruppo di profughi, la motovedetta si sarebbe fatta consegnare il telefono satellitare Thuraya fornito dai trafficanti e un apparecchio gps. «Ce lo hanno restituito dopo avere riprogrammato la rotta su 0.0.». In altre parole direzione Nord. E a Nord c’è solo l’Italia.
Ma il motore è rotto. E sul barcone viene montato un meno potente ma più efficiente “Yamaha 40 hp”. «Ci hanno consegnato il nuovo motore, bottigliette d’acqua e almeno 60 litri di carburante». Abbastanza per non restare a secco». Quando oramai è buio i 101 vengono scortati fino al confine delle acque territoriali.
Prima di venire abbandonati, un militare più giovane –sempre l’ottimo Nello Scavo- li aveva rassicurati: «non vogliamo uccidervi e non vogliamo farvi del male, non vi stiamo minacciando, ma se ci seguite verso l’Italia vi salveremo la vita». Dopo i fucili spianati, le manovre azzardate, la minaccia di un ritorno in Libia, ai migranti quelle parole sono sembrate una consolazione. «Abbiamo fatto come dicevano. Ci avevano dato anche una bussola in una scatola di legno: “seguite sempre 0.0. e sarete in Italia” ci ripetevano». Il mattino dopo entrano nel porto di Pozzallo.
È la Domenica di Pasqua. Il giorno dopo, sempre da Malta, respingeranno un altro barcone: 12 morti. E ancora tante domande a cui non solo La Valletta deve rispondere.