Oltre Silvia, la questione sequestri e riscatti letta dal giurista

Igrazio Juan Patrone è magistrato in Cassazione. Une che di diritto se ne intende, ma soprattutto persona d’equilibrio che aborrendo certe vergognose affermazioni e dubbi, non sfugge ai problemi reali emersi. «Credo che la vicenda (con le conseguenti, forse inevitabili, polemiche) della liberazione di Silvia Romano debba indurre qualche riflessione non legata alla singola storia ma, più in generale, alla questione ostaggi e riscatti».

Sequestri e riscatti

Da anni l’Italia paga, se non sempre quasi sempre, i sequestratori e si tratta di somme rilevanti. Altri paesi forse non pagano, o almeno così dichiarano ufficialmente, ma ipocrisia e pseudo segreti in questa materia sono all’ordine del giorno. Noi tendenzialmente paghiamo per tutti gli ostaggi, siano essi in missione ufficiale o all’estero per lavoro (ad es. i giornalisti o i tecnici di società che hanno lavori e cantieri), o ancora quali volontari di Organizzazioni umanitarie note e di altre meno note (e certamente meno attente e meno sicure).

La sostanza e la finta

Paghiamo anche se poi facciamo finta di non averlo fatto. Si tratta di una scelta, lasciata (come è giusto) nelle mani del Governo ed alla esecuzione dei nostri Servizi e che non può e non deve essere messa in piazza durante le trattative: ci mancherebbe altro. Ne va della vita dell’ostaggio ma anche di quelle di chi è sul campo per tessere accordi con dei notori tagliagole. Ma forse, una discussione generale, non sui singoli casi ma sui criteri che vengono adottati potrebbe dare una qualche indicazione alla pubblica opinione, oggi particolarmente disorientata e divisa tra santificatori a prescindere e persone che vorrebbero impiccare … l’ostaggio.

Regole in Italia o all’estero

Il punto è un altro: se in Italia qualcuno viene sequestrato a scopo di estorsione, la legge (art. 1 del decreto legge 15 gennaio 1991, n. 8, Nuove norme in materia di sequestri di persona a scopo di estorsione) i beni della famiglia vengono sequestrati per impedire il pagamento del riscatto. Tale disposizione venne introdotta, con un certo successo, per porre un freno ad un fenomeno che, soprattutto tra Sardegna, Calabria e Toscana, stava assumendo dimensioni da paese dell’America Latina. Essa però ebbe un prezzo umano non da poco, essendo costata la vita a non pochi ostaggi ed avendo causato comunque dolore ed apprensione in molte famiglie.

Poi, naturalmente, qualcuno trovò anche il modo di aggirarla.

La domanda però sorge spontanea: in Italia non si paga e all’estero sì ? La famiglia no e lo Stato (secondo criteri necessariamente assai discrezionali) sì ? Forse sul punto occorrerebbe fare un po’ di chiarezza.

Seconda questione: le ONLUS

Nulla so della Ong che ha spedito Silvia Romano in Kenya: magari sono i più strutturati al mondo. Però so per certo che organizzazioni come MSF, Sant’Egidio e simili non mandano mai sul campo persone senza una adeguata organizzazione (Silvia era sola, mi pare di aver capito) e senza preventivo, anche lungo, tirocinio. Non è che persone giovani e volonterose ma prive dei necessari rudimenti di sicurezza vengono mandate senza troppo pensarci in zone comunque a rischio ? E non è che le tante Silvie desiderose di fare del bene si rivolgono proprio a dette organizzazioni light perché così vanno subito nella agognata Africa senza passare per noiosi tirocini ?

Organizzazioni idonee e assicurate

Forse occorrerebbe una discussione anche su questo punto, perché lo Stato (che poi è il rappresentante dei contribuenti innocenti) non può diventare l’assicuratore dei danni provocati da organizzazioni non idonee e che forse potrebbero raccogliere fondi in Italia evitando di mandare gente giovane ed inesperta in zone pericolose, come a suo tempo le famose “due Simona” in Iraq.

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