
Non era nata per essere felice, questo lo aveva capito. Ma non poteva più rassegnarsi ad essere presa per il culo dalla vita.
Mannocchia Fucilieri, in arte semplicemente Mannocchia, si disse, dunque, che era arrivato il momento di fermarsi e fare il punto.
Era un giorno come un altro, né sole né pioggia, di quelli che ti sbattono in faccia l’insensibilità del tempo ai tuoi cazzi personali. Se hai bisogno di leggerezza voltati da un’altra parte e chiuditi in casa. Ma la Fucilieri Mannocchia, in arte sempre Mannocchia, della leggerezza non sapeva più che farsene. Era soprattutto stanca di non essere nessuno nel suo mondo, che pure era fatto di signori nessuno più nessuno di lei, e tuttavia questo passi. Ma non essere più interpellata, neanche per telefono, come se non contasse qualcosa al lavoro quello che lei pensava, non era più tollerabile. Per farne che, poi, con tanti che straparlavano a vanvera, non era proprio un suo problema.
La decisione era dunque già presa: sarebbe uscita e avrebbe fatto fuori qualcuno per strada o, ripensandoci, forse era preferibile scegliere nel mazzo là dove lei avrebbe dovuto lavorare. Non uno qualunque, in ogni caso. Non sarebbe stata così stupida.
Il telefono di casa era squillato che il primo caffè non era ancora sceso nella tazzina e già il primo disturbatore si trovava all’opera.
”Abbiamo una proposta per lei, signorina…un’offerta che non potrà rifiutare”
Click.
Aveva sbattuto giù il ricevitore come si schiacciano le mosche importune in una giornata di bassa pressione.
Era esasperata.
Quello che la disturbava di più non era neanche l’ossessione di quelli che ti volevano ogni volta vendere qualcosa di straordinario, un mestiere infame, poveretti; ma quel ‘signorina’ piantato lì di traverso, come un fiore finto, era assolutamente intollerabile.
Aveva cercato di correggerli chissà quante volte, ‘ non sono signorina’, sono una signora quasi matura io. Ai più insistenti, per liquidarli, era persino arrivata a dire ‘Sono una milf, capisce?’, immaginando che l’ironia potesse avere ragione della stupidità. Una delle deduzioni più falsificabili in questo Paese.
E dunque ora il caffè si era freddato, la giornata era partita storta e Mannocchia, per tirarsi su, si era data una squadrata nel grande specchio del corridoio, davanti alla porta della cucina, peggiorando di molto la situazione.
Aveva preso almeno altri due chili.
La gonna le tirava in modo ridicolo sul culo, l’orlo le risaliva sul davanti scoprendo le ginocchia raggrinzite e c’era persino verso che la cerniera laterale si strappasse sul più bello, data la tensione.
Decise di cambiare abbigliamento.
Guardò dentro l’armadio in camera da letto, una porta spalancata su un paesaggio grigio ferro e nero fumo di Londra in una giornata di tempesta.
Un solo capo colorato, di un arancione Anas che sparava scintille.
Se doveva finire sui giornali decise che era meglio finirci a colori.
Se lo aggiustò per benino, aprì il decolletè fino a evidenziare il canyon tra le tette, osservò per un po’ lo spettacolo constatando che aveva ancora un suo perché, e dunque si avviò alla porta.
Allo sblocco dello scrocchio arrugginito suona di nuovo il cellulare.
“Oggi è la sua giornata fortunata, signorina…le suggeriamo una cinquina sicura sulla ruota di Cagliari; la troverà sul fondo della confezione della sua crema preferita…”
Click!
Mannocchia non aveva una crema preferita, che poi vorrebbe dire che ne aveva provate anche altre per scegliere quella, l’unica. La gente non doveva più permettersi di intrufolarsi nei suoi gusti, lei che ci aveva messo una vita per difendere il diritto di non averne.
Per le scale incrocia la bisbetica del terzo piano, la riprovevole Salandra, che trova sempre qualcosa da dire. Lei vorrebbe scendere in fretta, e così prova ad anticipare un ‘buon giorno’ tra i denti, per chiuderla lì ; niente da fare.
“Vedo che oggi è di buon umore, Fucilieri…cos’è successo?”
“Saranno cazzi miei, Salamandra?”, e accelera a rompicollo verso l’uscita del palazzo.
Riesce a svicolare fingendo di non sentire il richiamo della portinaia, e si appunta in mente che in caso di fallimento del suo piano nell’ambiente in cui lavora (o dovrebbe ), liberarsi di quella megera della Carulla sarebbe stato comunque un’azione socialmente meritoria.
Per le strade, intorno a Piazza Mazzini, ci sono fiumi di gente che intasano i marciapiedi in una confusione senza direzione di marcia e senza un senso.
Mannocchia riconosce un numero impressionante di colleghi che a quest’ora dovrebbero essere al lavoro, fa finta di niente come si usa nell’ambiente, ma non può fare a meno di chiedersi ‘chi cazzo li ha assunti questi che riescono a fare sempre quello che vogliono?’
Evita di darsi la risposta, tanto sa che non servirebbe a niente.
Ai tornelli, sul retro del palazzo, la guardia giurata, affacciata al bussolotto, la guarda con sospetto evidente. Lei la fulmina con una mitragliata alzo zero: “Stronzo!! Io qui ci venivo all’asilo che tu la raccomandazione ancora la cercavi”…e passa impettita, scongiurando che il tornello si apra.
Anche stanotte ha sognato che il badge non funzionava e qualcuno le gridava dall’alto che era stato disattivato per inutilità evidente.
Risucchiata da quell’aria un po’ così, da clausura peccaminosa vagamente appiccicaticcia, punta diritta al terzo piano.
Prima tappa, Direzione del personale.
“Ancora qui, Mannocchia?”
“Perché, lei no?”
“Ma io qui lavoro”
“…e io il mio lo cerco, dico bene?”
La segretaria del Direttore non fa nulla per nascondere un certo fastidio.
“Il Capo non c’è, oggi; è fuori per un incontro”
“E io lo aspetto”
“Guardi che non so se torna in giornata, non vorrei si annoiasse.“ E ride come una iena che la natura abbia dotato di una faccia da zoccola.
Mannocchia se lo chiede: perché quasi tutte le segretarie nascono così, predisposte a servire a troppi scopi? Non sarebbe meglio una professione separata dalle altre, così…tanto per non creare confusioni?
Poi preferisce tenersi l’osservazione, almeno per ora.
Sa di avere una missione, quel giorno, e non vorrebbe che tutto andasse in fumo per una battuta.
“Se proprio vuole si accomodi…ma guardi che finirà per annoiarsi, Mannocchia”
“E a lei che fastidio le da? Al massimo, tra un suo sbadiglio e l’altro, mi porto avanti e vado a far visita alle altre stazioni della via crucis. Visto mai che oggi non riesco a rimediare qualcosa.”
“Ma non è ancora stanca di cercare? Questo è un posto che non ha orecchie per i problemi, dovrebbe saperlo”
“Io intanto mi diverto a osservare il movimento…chi ci bada a me? Io sono la ‘sconosciuta di Collegno”..
“Non era lo ‘smemorato’…per caso?”
Mannocchia la guarda con un sorriso di degnazione.
“Vede che voi giovani difettate di logica. Uno smemorato non riconosce, per lui sono tutti sconosciuti… e io sono una sconosciuta, no? La conseguenza vivente della massa di smemorati di questa azienda”
E così dicendo si alza dalla poltroncina in anticamera e si avvia al suo tour interno, puntando a far tappa al palcoscenico più esclusivo delle vanità della grande Ditta: il bar dell’ottavo piano.
Non aveva alcuna speranza di incontrare lì qualcuno dei vip del caravanserraglio aziendale, sapeva bene che non era quello il posto dove andava cercato l’oggetto del suo piano segreto…In quel sottotetto benedetto da intermittenti grattugiate di amianto si accalcava solo chi era in cerca di emozioni a buon mercato: un caffè da scroccare, un appuntamento pruriginoso da fissare in qualcuno degli sgabuzzini strategicamente distribuiti sui vari piani, un pettegolezzo da scambiare per tenere viva la produzione sub-mediatica più corriva…la maldicenza.
Delusa di non aver beneficiato neanche di un saluto, Mannocchia paga il suo caffè, coglie nello sguardo del barista il solito riflesso interrogativo che ormai caratterizza tutti quelli che la incontrano, anche più volte al giorno, e mentre scende per le scale, sicura così di non perdere tempo con gli ascensori sempre intasati, si ricorda all’improvviso di un appuntamento scroccato proprio per quel giorno con un capostruttura della prima rete.
Controlla l’orologio, si sono fatte le dieci e mezza, ed è proprio l’ora che, dopo molti tentativi andati a vuoto, il dirigente si era rassegnato a darle.
Bussa dalla segretaria che sono le dieci e quaranta.
“Lei è in ritardo, Mannocchia; temo che l’appuntamento sia saltato”
Questa segretaria non sorride, è proprio stronza e basta.
“Ma se in questa azienda nessuno ha mai scoperto cosa sia la puntualità, mi vuol far incazzare?”
“Non so degli altri, ma il mio Capo non ha mai disatteso un appuntamento… e lei ora lo costringerebbe a infrangere un principio; non se ne parla proprio”.
Mannocchia sta decidendo se non sia il caso di accelerare i piani e estrarre la piccola automatica che ha nel suo borsone hippy, proprio a portata di mano, quando si apre la porta del Dirigente e lui si affaccia sospettoso.
“Ah, lei è qui…finalmente. Per essere una che non ha niente da fare si prende anche il lusso di arrivare in ritardo…E’ proprio vero che in questo posto di merda ognuno fa come cazzo gli pare. Su, già che c’è, entri dentro, e vediamo di sbrigarci”
Dentro, la stanza è peggio di un campo di battaglia, sembra passato un terremoto, o forse meglio una battaglia combattuta con armi improprie, tra cui tazzine di caffe sporche di giorni, bottiglie vuote di tutti i tipi, cabaret che dovevano contenere pizze o forse bignè, impilati assieme a riviste e giornali di altre epoche. Una desolazione umidiccia e anche un po’ maleodorante.
Mannocchia si siede e aspetta. Forse pensa anche di capire come quello sia stato l’unico dirigente che negli ultimi mesi si è rassegnato a darle un appuntamento.
“Allora, vuol dirmi l’oggetto di questo incontro, signorina?”
Cominciamo male. Lei cerca di abbozzare, ma poi non ce la fa:
“Signora prego…se non le dispiace. Ho una mia reputazione, sa?”
“Sia come sia…basta che si decida. Se non sbaglio lei è in cerca di una collocazione, risponde a verità quello che mi segnala l’ufficio del personale?”
Mannocchia deglutisce, scarta il personaggio dal novero di quelli degni del suo piano per indegnità evidente, e poi, con fatica e un po’ di degnazione, che non guasta mai se si vuole manifestare il proprio fastidio, esordisce alla sua maniera.
“Mi compiaccio, innanzitutto, che quei perditempo della direzione delle risorse umane (sottolineatura non richiesta ma abbondantemente rimarcata dalla Fucilieri) si siano degnati di segnalarmi. Che io, regolarmente assunta da vent’anni, dopo dieci di onesto precariato, abbia diritto di lavorare mi sembrerebbe evidente. Vogliamo essere più modesti? Potrebbe essere anche un mio dovere se mi fosse dato il diritto di esercitarlo, non crede? E, comunque, sì, sono qui per chiederle di prendermi nella sua struttura. Ho una laurea, ho cominciato come ballerina…la prego di non sorridere, gli esordi in questa azienda non sono mai giudicabili, lei mi insegna. Poi, via via sono diventata programmista, ho anche cominciato a scrivere scalette, mi sono ingegnata, ho avuto anche momenti di gloria…gloria sia fa per dire, mi intenda…parliamo di apprezzamento, se vuole. Ho anche degli attestati, se del caso. Non sono una che si monta la testa. Poi, all’improvviso, nulla. Sono passata di moda senza sapere perché. Lei può spiegarmelo?”
Il dirigente la guarda con occhi acquosi, forse non la vede neppure bene, si forza, ecco…anche se non gli riesce gran che.
Poi, lentamente si piega sulla scrivania, si torce come in preda ad una colica, ma non c’è un lamento, è strano, e Mannocchia non sa se preoccuparsi o che altro pensare.
“Dottore, tutto bene? Posso fare qualcosa per lei…vuole che chiami la sua segretaria?”
Il dottore adesso la guarda con la faccia da sotto in su, come schiacciato da un peso insostenibile…Se fosse vero mancherebbe al quadretto solo la bava alla bocca, dalla quale invece se ne esce lui, ora, una voce supplichevole, in grado di colpire al cuore.
“Ma perché vuole lavorare, signorina…e proprio qui, poi? Non vede che è tutto uno sfacelo questa azienda…sta andando tutto in malora, dico sul serio; fra poco qui non ci sarà più niente. Lei, che può, si salvi finché è in tempo, faccia finta di averci provato, non abbia scrupoli. Nelle nostre condizioni non ha proprio senso avere sentimenti di vergogna. Dia retta a me che ci sono in mezzo tutti i giorni…E ora vada, vada…Se ne vada, su…Non vede quanto soffro io stesso? Dovrà pur essere concesso anche a me di disperarmi con dignità”
Mannocchia esce dalla stanza comprensibilmente provata.
Prima di proseguire nel suo dolente avvicinamento all’istante salvifico del suo gesto finale pensa sia giusto tornare a fare un passaggio alla direzione del personale; visto mai che la segretaria ridens sentisse già la sua mancanza.
“Di nuovo qui Mannocchia? Pescato il jolly?”
Spiritosa come una ciliegia sotto aceto.
“Foss’anche, a lei questa soddisfazione non la darei, mi dica solo se il capo si rende disponibile”
“Le ho già comunicato la sua assenza, mi pare…Perché non si rassegna, una buona volta?”
“Già, così voi aspettereste solo di ricevere una bella lettera anonima del tipo “CHE FINE HA FATTO LA FUCILIERI MANNOCCHIA?” per poi perseguitarmi a termini di legge, magari per abbandono del posto di lavoro…Vi credete così furbi?”
Adesso la iena, in vena di improvvisa benevolenza, se la squadra con aria connivente, le parla con un tono appena percepibile, come se stesse abbassando la voce per rivelarle un segreto che potrebbe salvarla.
“Sa Mannocchia quante ne riceviamo di lettere di quel tenore? Lei nemmeno se ne immagina…”
“E voi che ci fate’”
“Niente. Tutte archiviate in una specie di dormitorio della corrispondenza inutilizzabile: neanche degna di dar luogo a una pratica legale. Contenta?”
Mannocchia è delusa, e lo dice.
“Una vera delusione…non ho parole”
“Ecco, finalmente siamo arrivati al punto: la delusione! Sentimento nobile se noi fossimo un organismo sano, ma che valore può avere una delusione quando tutto, tutto dico, è fatto per deludere? Lei Mannocchia smetta di parlare e provi a rassegnarsi… Ci si riesce, sa, dopo un po’. Lei ha il suo stipendio regolare? Sì? E allora si accontenti. Se ne vada tranquilla dove vuole e così noi ci liberiamo di un altro incubo. Sapesse che bisogno abbiamo di un po’ di tranquillità. Qui non si vive più, e lei insiste per starci?”
Mannocchia capisce che è proprio il momento di smammare.
Vorrebbe deprimersi ma non se lo può permettere, lei oggi in realtà ha una missione da compiere che da’ il senso alla sua giornata e deve arrivare allo scopo.
Decide quindi di smetterla di perdere tempo elemosinando in giro una soluzione che nessuno sembra avere e di concentrarsi sull’obiettivo: chi potrà essere il fortunato in grado, con la sua morte, di offrire un rilievo pubblico all’autrice del gesto eroico?.
Mannocchia sa, a dispetto della scarsa considerazione di cui sembra essere circondata in azienda, di essere donna di gusto, e per questa ben dotata di prevenzioni radicate e altrettante inscalfibili idiosincrasie.
Ci sono, dunque, personaggi pubblici di grande immagine che non potrà prendere in considerazione proprio per via dei suoi pregiudizi, e questo, a malincuore, le restringerà il campo della scelta.
Non vi è dubbio, ad esempio, che Minoli potrebbe essere un candidato ideale per l’evento da celebrare, ma lei non lo sopporta proprio, e quindi lo scarta.
Per una ragione o per l’altra è costretta a scartare Santoro (oltretutto è scomparso), Giorgino (con quella sua vena di eleganza leccata, da provincia del sud, è…inguardabile), il conduttore dei Soliti Ignoti, per difetto evidente di popolarità, e persino Carlo Conti, che il pedegree l’avrebbe ma quanto allo charme, figurarsi!.
Le piacerebbe puntare un personaggio femminile e un’idea l’avrebbe anche: quella, ad esempio, che ostenta un rosario al collo e una gran croce messa lì fra il morbido delle tette in evidenza… legge un Tg all’ora pranzo, pensando forse di essere l’ultima testimone di un cristianesimo votato al martirio.
Troppo onore per una adepta della confraternita salviniana ‘religione e mojito’. Anche i martiri, nella loro sfiga, hanno diritto che si rispettino almeno le loro buone intenzioni. Un martire a buon mercato non entrerebbe neppure nel calendario.
Per la verità ci sarebbe anche la Clerici, così burrosa da ungere i sonni di tanti, ma perché sacrificare una che fa andare di traverso il pranzo a mezza Italia, garantendo così l’acidità di stomaco perfettamente funzionale alla dieta?
Sospira Mannocchia per la oggettiva povertà dei candidati e il pensiero le va ai tempi dei suoi relativi anni belli, quando si poteva avere a che fare con gente di ben altra taglia. Vuoi mettere un Corrado, un Simonetti, un Barbato, un Biagio Agnes, un Luttazzi, e che sogno sarebbe stato Mina, nel momento del suo splendore. Ma allora l’azienda era altra cosa, il problema non si sarebbe neanche posto, lei un lavoro l’aveva sempre e nessun bisogno di sognare vendette.
Depressa decide di concedersi una pausa, l’ora del pranzo è pericolosamente vicina e vuole affrettarsi prima che al bar Vanni ci sia l’assalto ai tavolini.
Nel tragitto le spuntano due pensieri tentatori.
Il primo lo accantona subito, dovrà affrontarlo con calma dopo essersi messa qualcosa sotto i denti; il secondo è solo un riferimento ipotetico che però non andrebbe trascurato.
Apre il cellulare e fa un numero. Riccardo, un vecchio collega, dovrebbe ricordarsi di lei, è vero che non si vedono da anni, ma quello che c’era stato un tempo tra loro dovrebbe pur dirgli ancora qualcosa.
Il cell suona a lungo, forse è impegnato negli studi sulla Nomentana, le risulta che sia diventato un ottimo programmista-regista, molto apprezzato, non si può pretendere che uno così si precipiti a rispondere.
Ma proprio mentre Mannocchia sta per interrompere il tentativo e conquistare l’ultimo angoletto da Vanni ecco il click dall’altra parte e la sua voce.
“Chi è a quest’ora”
Il tono è perfetto, da incazzato cronico. Lei riconosce perfettamente il mood.
“Riccardo, sono Mannocchia…”
“Accidenti alle coperture della Dear…qui non si sente niente. Chi sei, hai detto?”
“Mannocchia…ti ricordi? La Fucilieri…quella che”
Sospensione, da una parte e dall’altra. Più preoccupante quella dall’altra.
“Ah…”
Altra pausa, poco rassicurante.
“Scusa se ti disturbo …volevo salutarti”
“Ma se so’ passati almeno otto o dieci anni, saranno stagionati ‘sti saluti…Che te serve, che vado de fretta…su…”
“Era solo così…mi eri venuto in mente..”
“Un incubo o un bancomat?”
“Non capisco”
“Dimmi che c’hai in testa che famo prima. Ma tu stai ancora in azienda, che non t’ho più vista?”
“Per modo de di’ Riccardo…non so indove lavorare”
“E mo’ sì che ce semo …Me lo sentivo io: stai a cerca’ un posto, nun è così? Te sei ridotta ‘lavoratrice casuale d’inciampo’, come dicheno al personale; bell’affare!”
Mannocchia tergiversa; non vorrebbe accelerare un’altra delusione. Allunga un sospiro e lui lo intercetta.
“Allora c’avevo visto giusto, Manno’…e se è così hai bussato alla porta sbagliata, me dispiace. Io so l’ultima rota del carro e qui poi semo al completo, il doppio de quello che ce serve, a esse prudenti…Che ce faccio co’ n’altra? Rendete conto…so’ tempi che nun se po’ mica scherzà troppo, nun vedi che anche lassù in cima cadono l’uno dopo l’altro come le sagome al luna park? Datte pace, e vedi ‘n po’ se te riesce de inciampà in uno strapuntino.”
Poi lui saluta e lei resta incantata, senza accorgersi che il cameriere è li davanti e le chiede da un po’ cosa desidera per pranzo.
“Un frullato, per favore …e un toast. Grazie”
Si guarda in giro senza vedere, spaesata e depressa, poi le cade l’occhio sul tavolino nell’angolo, più in angolo del suo, e le torna in mente il primo pensiero tentatore: puntare direttamente a un monumento aziendale, l’unico ancora intramontabile, ancorchè ottantenne.
Lui è proprio lì, ed è proprio lui… Sta discutendo animatamente di un programma con un giovane programmista che lei non ha mai visto.
Sarebbe la condizione ideale per il suo piano: Pippo Baudo, come bersaglio.
Mannocchia adesso crede proprio che sia arrivato il suo momento: porre fine alla carriera di un eroe della ribalta, quello che ha conosciuto tutti e allevato molti. Il delitto si sarebbe tradotto in un fiume di emozioni nazionali, e lei avrebbe finalmente conquistato il suo angolo di celebrità.
Consuma il suo toast come in trance, versando gran parte del frullato sul tavolo e anche in terra.
E’ intenta, senza apparire, ad ascoltare le chiacchere tra i due assicurandosi che nessuno di loro le faccia caso…presenza invisibile, come sono invisibili quelli che non contano nulla.
“E’ un programma piccolo, ti rendi conto? E poi su una rete defilata, e in un orario infelice …Io ho fatto ben altro”
“E chi lo potrebbe negare, Pippo? Devi renderti conto però che questo è il tuo terzo rientro in azienda, il che vuol dire che per almeno due volte…hai tradito, no? Per essere gente che non l’aveva presa bene devi ammettere che ti hanno offerto comunque qualcosa. Non era mica detto…se ci pensi bene”
Baudo scrolla la testa, si vede che non è convinto, poi si ferma a pensare un po’ e conclude alla sua maniera.
“A un patto…Lo posso accettare solo a un patto, e ai capi gli sembrerà strano, te lo premetto. Ho in testa un’idea che ha del matto ma potrebbe servire a creare interesse. Lo dici tu al direttore di rete che io vorrei utilizzare questo piccolo spazio per metterci dentro quelli che questa azienda pensa siano anime perse…”
“E sarebbe? “
“Nessuno dei soliti giri, nessun raccomandato…Voglio cercare persone ai margini, scartate dalle grandi produzioni, e dimostrare che so valorizzare chi è stato dimenticato… Non ho sempre allevato degli sconosciuti?”
Nell’enfasi della perorazione si volge da una parte e dall’altra e incrocia la faccia sorpresa della Mannocchia.
Si accorge, così, all’improvviso, che dal tavolo vicino qualcuno lo sta ascoltando.
“E lei chi è, signora… non sarà mica una dipendente?”
Mannocchia deglutisce, toglie la mano dal borsone lasciando scivolare sul fondo la sua automatica, tenta un sorriso timoroso e poi risponde.
“Sì, signor Baudo…dovrei lavorare qui…ma momentaneamente sono in attesa”
“In attesa di cosa, se posso?”
“Bella domanda… Loro non sanno rispondere; pare che non ci siano più risposte, in azienda. Raccomandano vivamente di abolire le domande. Così si risparmia tempo, no?”
Il vecchio leone si rivolta verso il suo interlocutore, sembra ora un orso imbufalito, pastrocchia nervoso con un pezzo di pane rimasto sul tavolo, struscia i piedoni accanto alla sedia poi trova modo di concludere.
“La mia accettazione è scontata, lo riferisca… ma la condizione è dirimente; e, tanto per farlo capire, la signora qui presente è la prima che imbarchiamo nella nostra esigua scialuppa. Le è chiaro?”
Il programmista sorride disteso.
“Alla buon’ora Pippo…adesso si deve solo cominciare. Posso chiedere alla signora come si chiama?”
“Mannocchia, signore…Fucilieri Mannocchia, per servirla.”
“Un nome straordinario”, tuona Pippo col suo vocione; ”da puro avanspettacolo. Un tempo l’avrebbero assunta anche solo per questo. Noi lo spareremo per primo, vedrà …sarà un successo.”
Così dicendo Pippo Baudo alza la mole dei suoi due metri, scosta il tavolino, fa un inchino alla sua prima collaboratrice e la invita ad accompagnarlo al bancone.
“Un buon caffè vale la presentazione in società. Faccia finta di ignorare tutti quelli che ci stanno guardando; fra poco l’azienda intera ne parlerà, e lei improvvisamente sarà di nuovo qualcuno.”