
“Volevo tacere. Ma il tempo mi ha chiamato e ho capito che non si poteva tacere”.
Il caso, padrone assoluto, ha poggiato sulla mia piccola scrivania, solcata da un raggio di sole che arriva dritto dal lucernaio, un libro di Sàndor Marai, un autore che amo. Non l’ho letto, lo sta facendo mia moglie Valentina. Mi ha incuriosito e l’ho aperto. Il virgolettato nel paragrafo precedente è l’incipit. Dialoga profondamente con i miei passi nel silenzio della mattinata, con il colore dei papaveri che il vento muovo lungo le mura di San Quirico. Con le fotografie, gli scartafacci, i quadri del mio studio sotto il tetto. Con la dolcezza e la furia dei ricordi che si rincorrono e sovrappongono costruendo un mosaico di futuro, passo dopo passo.
Nei libri, certe volte nel caso che ce li pone davanti, ci sono i mondi che vorremmo vivere, quelli che non riusciamo a vedere perché chiusi in visioni urbane asfittiche; che ci sfuggono perché non li conosciamo o non li comprendiamo, così abituati come siamo ad avere certezze assolute definite da format. A conoscere la realtà attraverso uno schermo piatto, oppure per sentito dire. Senza la dolcezza della scoperta, senza quel quid-di-animale che crea altro da noi, dai nostri percorsi rigidi e conformisti. Alcuni libri sono vita, sapienza, ispirazione: ci hanno spalancato la mente a visioni ed esperienze impensabili. Che conservano memoria e desiderio. Sono semi di libertà e di bellezza. Aiutano a camminare domandando. A pensare nei momenti in cui prevale il buio e tutto sembra perduto.
Un altro libro è arrivato, sempre per caso, nelle mie mani. Me l’ha donato per il 25 aprile un amico, da parte sua e da parte della sua bella famiglia di partigiani. Si intitola: Sul filo della memoria. Una produzione della Biblioteca comunale di San Quirico d’Orcia, a cura di Idria Buoni, Marta Casiroli, Roberto De Liso, Fulvia Fasola, Livia Spena, per Don Chisciotte editore. Un libro semplice e disarmante per la sua dolcezza, per la bellezza dei ricordi in un momento tremendo, con i tedeschi nel pieno di una ritirata feroce e devastante. Quando occorreva scegliere da che parte stare. Con la solidarietà rurale, con la resistenza essenziale, determinata e mai inutilmente violenta.
Testimonianze che riportano alla nostra quotidianità quei valori che devono continuare a vivere e a “indicare il cammino dell’umanità verso un mondo più giusto”. Così scrivono le curatrici nella bella introduzione. Un mondo più giusto, ricordandoci che dobbiamo ancora lottare per conquistarlo. E che conquisteremo – visti i drammi di questi mesi – se non disperderemo la memoria e la bellezza, se non cederemo alla flautata assuefazione che sostiene ogni dittatura che genera ingiustizia. Sia quella in stivaloni e speroni che quella, altrettanto ributtante, elegante e chic che ha il profitto come unico Dio.
Ps
Al termine di questa scrittura ho scoperto che i meravigliosi insegnanti delle scuole medie di San Quirico d’Orcia, in tempi di quarantena, hanno organizzato, realizzato e pubblicato una serie di video in cui i ragazzi leggono le testimonianze del libro.