Fondo Ue per la ripresa: tra applausi e critiche cosa c’è realmente dentro

Il Consiglio europeo di ieri ha gettato le basi per il Recovery Fund, il fondo per la ripresa, lasciando alla Commissione il compito di definire le fonti di finanziamento e gli altri particolari.

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Soluzione di compromesso, ovvio, tra chi voleva tutto subito e gratis, e quelli che premono per dare solo prestiti ben remunerati. Comunque sia, l’Europa ha dimostrato di esserci, specialmente in questa circostanza. L’Italia, insieme con Spagna e Francia può dirsi momentaneamente soddisfatta. Vedremo cosa succederà ai prossimi passaggi, primo il sei maggio, con la presentazione del piano dettagliato da parte di Ursula Von Der Leyen. Per il momento, possiamo contare sulla conferma dei 540 miliardi concordati il nove aprile nella riunione dell’Eurogruppo.

Per l’Italia, accedere alla liquidità è essenziale: la linea covid-19 del Meccanismo di stabilità, i prestiti della Banca europea degli investimenti ed il programma “Sure” per la sostenibilità della cassa integrazione sono fondamentali. Garantiscono la sopravvivenza, in tempi così particolari.

Tanti soldi ma non bastano

“Pochi, maledetti e subito” si diceva una volta in Borsa, e non sono neanche pochi. Ma non bastano, visto che Giuseppe Conte ha avanzato la richiesta di un prestito ponte in attesa che le decisioni europee concordate sulla carta ieri maturino. Ne abbiamo estremo bisogno. Vero è che l’ombrello della BCE ci consente di continuare ad emettere titoli di Stato a basso costo (relativo, visto il posizionamento dello spread a quota 250), ma non si può continuare così. Lo Stato ha ancora margini per continuare a pagare stipendi pubblici e pensioni, oltre che erogare i servizi essenziali. Non sappiamo fino a quando. Specialmente se l’economia non riparte e le entrate fiscali non ricominciano a fluire. Si prevede il raggiungimento di un debito di 2.600 miliardi, pari al 155% del Pil. Cifre enormi, se guardate specialmente dal lato della sostenibilità finanziaria.


Quanti miliardi di interessi dovremo pagare, sottraendoli ad impieghi produttivi per il Paese? Ecco allora che diventa essenziale poter accedere a fondi (il totale europeo dovrebbe essere di altri due mila miliardi) per riavviare ed incentivare la ripresa del nostro sistema economico.

Nazionalsovranismo del debito?

Né esistono alternative praticabili rispetto alla strada europea. Con le decisioni adottate ieri, l’Europa ha tolto spazio ai movimenti sovranisti. A coloro che invitano al “fai da te” nazionale. Non lo consentono i tempi e neanche la realtà.

Proviamo ad ipotizzare. Ci ritiriamo, arrabbiati ed offesi, sull’Aventino e, con grande squillo di trombe, diamo fondo alle risorse nazionali, insomma al risparmio degli italiani. Quindi, emissione di un corposo prestito per il bene della nazione.

Chi lo sottoscrive ed a che prezzo? Magari al 5% come la mai dimenticata, per chi ha memoria, “Rendita Italiana”, mentre in Germania gli investitori preferiscono pagare pur di sottoscrivere il debito tedesco? Conveniente a prima vista, ma con l’indubbio difetto di non essere mai ripagata: “irredimibile” si dice tra gli addetti ai lavori. I nostri eredi continueranno a riscuotere gli interessi, ma il capitale non lo rivedranno mai.

E se il tasso non fosse così conveniente, visto che lo Stato non se lo può permettere, che facciamo: rendiamo questo prestito “forzoso”? Costringiamo, cioè, i risparmiatori ad accollarselo volenti o nolenti? Insomma, una forma paludata di tassa patrimoniale.

Ritorno ai mini Bot di casa?

O riesumiamo la proposta dei mini Bot? A parte l’ammontare esiguo che se ne potrebbe ricavare, ricordiamo che questa formula fu già adottata nel secolo scorso e provocò una girandola di certificati e cedole che svolazzavano per il Paese. Nel senso che i lavoratori che li avevano ricevuti in cambio della contingenza, avendo piuttosto necessità di contante, li cedevano al 70% del valore, contribuendo a far arricchire i soliti noti. Quindi, torniamo con i piedi per terra e lavoriamo in Europa sapendo che la nostra situazione non è affatto facile e non siamo nella condizione di fare la voce grossa.

La nostra fortuna è che ormai l’economia europea è interconnessa e non conviene a nessun Paese lasciarne affondare un altro. Il caso Grecia è stato disgraziato e peggio gestito. Tedeschi, olandesi, austriaci e loro altri compari lo hanno capito. Non lo riproporranno più. Neanche per noi, come si vorrebbe far credere.

Certo, in un contesto di 27 Paesi ci sarà sempre qualcuno che cercherà di approfittare delle debolezze altrui. Ecco perché, invece di inveire a pieni polmoni, conviene cercare l’intesa. Sapendo che un prezzo bisognerà pur pagarlo, ma che sia il più equo e corretto possibile.

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