
Ecuador. Nella Wuhan latinoamericana 10mila morti, cinque volte in più della media, denuncia l’Oms. In Ecuador, dove il governo dei tagli non ha i tamponi. Stop agli investimenti nella sanità, mentre l’attività estrattiva prosegue indisturbata.
«Negli ultimi due mesi le morti in Ecuador sono cresciute in modo anomalo», ed è un eufemismo. Nella sola regione di Guayas, capitale Guayaquil, sono oltre 10mila, contro una media del periodo di circa 2mila. E altri 6700 sono i morti solo nella prima metà di aprile. Ma l’arroganza caricaturale del despota Moreno rifiuta di parlare di Coronavirus e di epidemia. In mancanza voluta di test sul virus, decessi da ‘arresto cardio circolatorio’, alla fine il cuore di ferma a tutti. Bastardagine oltre ogni limite, persino rispetto al brasiliano Bolsonaro.
L’Ecuador riesce a fare poche centinaia di tamponi al giorno per il Covid-19. Il sistema sanitario (dov’è presente), anche a causa dei tagli degli ultimi anni, è al collasso e in un paese dove non mancano povertà, malnutrizione, dengue, malaria, tubercolosi e altre malattie tropicali la morte è all’ordine del giorno. «Ma mai con i ritmi di questi giorni, in città così come nelle zone indigene e amazzoniche –annota Andrea Cegna sul Manifesto-, perché l’estrazione di petrolio e di altre materie prime non si ferma con lavoratori in continuo movimento tra territori. Cos’è cambiato? L’arrivo del Covid-19».
Il governo Moreno, pur essendo obbligato a certificare i numeri di deceduti a Guayas, continua a dichiarare cifre di contagio basse. Le immagini di Guayaquil, con i morti ammassati per le strade hanno fatto il giro del mondo e, nonostante questo, il governo fino a venerdì scorso dichiarava solo qualche centinaio di deceduti e poche migliaia di infetti. Ora -troppa sfacciataggine ti scopre- anche nelle cifre ufficiali si vede una costante accelerazione: in tutto il paese, per il ministero della salute, ci sarebbero poco più di 10mila casi accertati e circa 500 morti.