Perché non mi piace questo slogan: distanziamento sociale

Non le guerre, non il terrorismo, non i colpi di Stato. Un virus. E la risposta della società a questo rischio, gravissimo indubbiamente, che non vorremmo mai cominciare a pensare come irreversibile. Perché questo è quello che sta circolando nell’aria.

Il virus non sarà vinto in poco tempo, il distanziamento sociale sarà una buona norma di comportamento per il futuro. Le piazze, gli stadi, le spiagge, gli incontri in genere saranno il nemico. Così come l’attività fisica in libertà nei boschi, sui sentieri bianchi, nei parchi, resteranno misteriosamente sospetti. Casa, solo casa e brevi violazioni dal coprifuoco. Con autocertificazione, immagino. E mascherine, guanti, gel, ansie e paure. Appesi al video, della tv o del telefonino. Anestetizzati e igienizzati da una profilassi che ha aspetti culturali, quindi politici e sociali.

La paura per quel che potrà riservarci il futuro non scema, settimana dopo settimana. Da una parte l’impotenza del cittadino, dall’altra la mediocrità della gestione politica e sanitaria soprattutto in Lombardia e le bizzarre e ottuse declinazioni securitarie dei governatori di mezzo Paese; in mezzo i media sempre pronti a colpevolizzare il povero cristo che tenta una fuga, senza mai mettere sulla bilancia le responsabilità enormi e criminali di chi ha causato questo crollo, questa resa incondizionata.

Chiede Giorgio Agamben: “Com’è potuto avvenire che un intero paese senza accorgersene, eticamente e politicamente, sia crollato di fronte a una malattia? Le parole che ho usato per formulare questa domanda sono state una per una attentamente valutate. La misura dell’abdicazione ai propri principi etici e politici è, infatti, molto semplice: si tratta di chiedersi qual è il limite oltre il quale non si è disposti a rinunciarvi. Credo che il lettore che si darà la pena di considerare i punti che seguono non potrà non convenire che – senza accorgersene o fingendo di non accorgersene – la soglia che separa l’umanità dalla barbarie è stata oltrepassata”.

I nostri anziani muoiono soli, senza funerale, senza amici e parenti accanto. I nostri amici sono lontani, i figli partiti per la loro vita sono lontani. Le scuole sono chiuse. Le chiese pure. Per chi crede questo intollerabile, per chi ha fede non è forse una resa nei confronti della crudeltà di Satana (per restare in tema)? Non fa male al cuore vedere questo sfacelo etico fatto di piccolezze, di delazioni, di ansia che sfocia in un livello di stupidità sociale che esplode nell’insignificante vita social, fatta di fuffa e dichiarazioni di politici imbecilli che già prima erano discutibili, ma adesso sono penosi?

Finirà presto, ci dicono. Ma… è quel ma che mi rende inquieto visto che le autorità ormai si sono innamorate di questo ossimoro: distanziamento sociale. Piace ai media, alla signora in fila alla Coop, al passante che torvo controlla la distanza giusta da prendere per non incrociare troppo da vicino l’altro, il nemico alitante con mascherina. Sempre urlare da ogni tv: stiamo socialmente lontani, ragazzi. Lontani gli uni dall’altro, senza alcuna coralità, senza scambio umano di pensieri, senza collettivi, senza piazze da occupare, senza strade da percorrere al fianco nella lotta. Distanziamento sociale. Non interpersonale, non sanitario. Lo slogan che infliggono ai cittadini è distanziamento sociale, ora e dopo. Per sempre?

Eppure filosoficamente questo prendere le distanze somiglia a un mantenere un rapporto. Ci costringe a verificare costantemente la distanza dall’altro, quindi a considerarlo. Citando Italo Valent, è il risultato di un gesto di avvicinamento, di un movimento di appropriazione. E ci fa sperare che, come spesso accade, l’onda securitaria antisociale così maldestramente evocata possa celare delle sorprese. Vedremo.

Concludo questo pezzo di dubbi e un po’ di amarezza ancora con Agamben: “So che ci sarà immancabilmente qualcuno che risponderà che il pur grave sacrificio è stato fatto in nome di principi morali. A costoro vorrei ricordare che Eichmann, apparentemente in buona fede, non si stancava di ripetere che aveva fatto quello che aveva fatto secondo coscienza, per obbedire a quelli che riteneva essere i precetti della morale kantiana. Una norma, che affermi che si deve rinunciare al bene per salvare il bene, è altrettanto falsa e contraddittoria di quella che, per proteggere la libertà, impone di rinunciare alla libertà”.

Non rinunceremo. Anzi…Vigileremo e non ci faremo trascinare dall’onda politica e culturale del distanziamento sociale come bromuro sociale e possibilità che in santa pace i responsabili del disastro possano trovare il modo per rimettere insieme i cocci per generare un nuovo mondo che contenga gli elementi fondanti del vecchio catastrofico in cui viviamo: ingiustizie sociali, annichilimento delle coscienze e soprusi sotto nuove moderne e affabili modalità.

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