
Niente sarà come prima. E neanche lo vorremmo. Qualche settimana fa Polemos titolava: “Non torneremo alla normalità, perché era la normalità il problema”. Già, questa è l’idea che origina dalla conoscenza di quello che hanno rappresentato gli ultimi trenta anni di neoliberismo sulle coscienze e sulla società. Ma siccome non siamo ingenui per niente, non pensiamo che la crisi drammatica che stiamo vivendo possa rappresentare un detonatore per il cambiamento epocale, per uscire dalla vergogna dell’ingiustizia sociale globale e avviarsi sulla strada di una esistenza comunitaria che tenga nella giusta considerazione la vita di tutti, il futuro dei nostri figli, la salvezza del pianeta mai come in questa fase in ostaggio degli interessi perversi del peggior capitalismo che la storia ha espresso.
Non crediamo che d’improvviso svaniscano nel niente i padroni cinici, mediatici e spietati come quelli che imperversano sui giornalini di gossip e sulle tv dispensando sorrisi e celando la ferocia che ha consentito loro di calpestare diritti ed esseri umani, per ottenere profitti senza limiti (e continuando a chiedere sacrifici a chi possiede meno).
Non mi dite che non avete mai visto all’opera un padroncino del capitalismo contemporaneo, un imprenditore armato di una schiera di avvocati in azione per rendere elastica la regola, per violarla dove possibile, a vantaggio del proprio arricchimento fregandosene di tutti. Quelli che, secondo i dettami della politica, a forza di leggiucce ad hoc avrebbero dovuto risollevare il paese e che invece se lo sono pappato a morsi. Ovviamente ammanicati proprio con la politica di cui finanziano le campagne elettorali, sostenitori entusiasti di ricette liberiste che – strano eh – prevedono sempre e solamente la stessa cosa: tagli alla spesa sociale, abolizione del pubblico a favore del privato, precariato, impoverimento dei ceti meno abbienti. Ah, sicurezza. Perché per difendere l’indifendibile dove non può il decoro occorre la ricetta securitaria e la repressione.
Sì, nella vita li avete incontrati questi brutti ceffi. Se non direttamente, attraverso i loro esecutori, i manager tutti palestra e telefonini, quelli che li vedi arringare crudeli le segretarie all’aeroporto, che si sentono al sicuro. I tagliatori di teste, i venditori di fumo, i dulcamara dell’epoca, tronfi e con l’abito lucido.
Non crediamo in un cambiamento naturale. Crediamo solo nella lotta. Mio zio, anarchico versiliese, diceva a noi bambini: battetevi, non esiste e non è mai esistito un diritto che è stato bonariamente concesso, ogni conquista sociale è figlia della lotta. L’abbiamo dimenticato? Si è annacquato il tempo al punto di pensare che un flashmob che nasce e muore senza lasciare alcuna conseguenza è lotta? Che una catena di clic è lotta? Che dire “ommiodio” di fronte alla ferocia sociale contro i più deboli sia rivoluzione?
No, la lotta comincia adesso. E non perché la pensiamo nello stesso modo o perché abbiamo preso coscienza, la lotta ci serve a prendere coscienza, a sottrarsi dalle spire flautate di un potere che oggi è in ginocchio per le cavolate che ha fatto e prodotto nei decenni e che oggi paghiamo, ma domani rimetterà insieme i pezzi. Lo sta già facendo. E riorganizzerà il sistema vitale delle ingiustizie, delle privatizzazioni, della distruzione del bene comune per affaracci privati. Con tutte le armi a disposizione. Media compresi.
Se glielo permetteremo…