
Da una parte la potente US Navy, tradizione navale di superficie e subacquea a cui va aggiunta una potentissima componente aerea della Marina. Da decenni ormai, la flotta statunitense assicura una politica che potremmo chiamare delle “ali di farfalla”, dove la parte continentale degli Stati Uniti rappresenta il corpo, mentre le ali si estendono verso Est (Atlantico) e verso Ovest (Pacifico).
Dall’altra parte abbiamo la Marina cinese, traduzione della visione geopolitica della nuova Cina post-comunista del presidente Xi Jinping, convertito all’economia di mercato. Liberalizzazione economica non seguita da quella politica, che resta saldamente nelle mani della dirigenza cinese. Un vertice che vuole per la Cina nuovi ruoli e responsabilità oltre gli ormai ristretti confini continentali.
Flotta mercantile e non solo. Ed ecco il programma di modernizzazione e potenziamento della Marina militare che ha avuto un’accelerazione nel 2013, con l’ascesa al potere del presidente Xi. Con la Marina che è rapidamente diventata la Forza Armata più importante della Cina.
Usa e Cina i due principali protagonisti navali nel Pacifico, ma non i soli. Recita la propria parte anche la marina russa, declassata da attore globale a potenza regionale ma ultimamente in forte crescita qualitativa. Dopo i problemi degli ultimi decenni, che avevano portato alla riduzione di un terzo della flotta nel Pacifico e alla distruzione di tutti i missili ICBM a est degli Urali, la flotta russa si è riorganizzata con nuove navi, tant’è che la ‘Voenno-morskoj Flot’, nonostante recentemente sia stata superata dalla Marina cinese, rappresenta ancora una delle più potenti e numerose marine da guerra del mondo.
A questa si aggiunge la Marina del Giappone, altro attore marittimo regionale in significativa ascesa, con una flotta moderna e competitiva, non ancora dotato di portaerei ma, essendo ormai indispensabile un’adeguata e pronta copertura aereonavale per ogni operazione in mare, potrebbero presto arrivare.
Nel Pacifico, strategie sempre più “navaliste” per sostenere i rispettivi commerci col mondo, in un periodo nel quale anche la pirateria rappresenta una reale minaccia agli scambi globali. Con le flotte militari impegnate nel sostegno delle rispettive economie, la loro missione principale, ma anche ingaggiate nel confronto per la ridistribuzione delle forze nel bacino del Pacifico e per la revisione dei relativi concetti geopolitici e geostrategici.
Al momento la Cina non sembra avere l’obiettivo di proiettare la sua forza politico-militare dall’altra parte del globo, ma quello più limitato di proteggere le acque di suo interesse strategico e di impedire l’accesso delle navi avversarie ai tratti di mare contesi. Parallelamente alla propria crescita qualitativa la Marina cinese ha, infatti, mostrato un atteggiamento sempre più determinato nelle controversie per le numerose isole del Mar Cinese, importanti sia per le enormi riserve di risorse energetiche ma, soprattutto, per il loro valore strategico, essendo situate in posizione tale da permettere il controllo delle importanti rotte dell’area.
Le disabitate isole Senkaku (o Diaoyu, come le chiamano i cinesi) contese con il Giappone, e le isole dell’arcipelago delle Spratly, contese da Vietnam, Filippine, Cina, Malaysia, Taiwan e Brunei, ma trasformate dalla Cina in una base militare con piste aeree e missili antinave. Aerei e navi cinesi, inoltre, pattugliano quelle acque in maniera sempre più aggressiva, proprio per sconsigliare la navigazione da parte di unità “non gradite”. Non si può tuttavia escludere che, una volta ottenuto il risultato (per alcuni analisti già raggiunto) e averlo consolidato, la Cina non desideri allargare i propri orizzonti strategici, intervenendo con la propria flotta militare in aree sensibili a lei completamente nuove.
Un assaggio, in fondo, c’è già stato con la recente esercitazione navale avente lo scopo di approfondire le capacità navali congiunte, anche per operazioni antipirateria, che si è svolta nelle acque dell’Oceano Indiano e del Golfo di Oman lo scorso dicembre 2019, con la partecipazione di unità militari iraniane, russe e, appunto, cinesi. Una crescita della flotta che va vista anche in un’ottica di lungo periodo, nel quale questo efficace mezzo di pressione potrà far aumentare la capacità della Cina di ottenere dei vantaggi diplomatici o di volgere le controversie internazionali a suo favore.
Ciò nonostante, la US Navy oggi continua a non avere rivali in grado di contrastarla sul mare. Può, infatti, schierare undici portaerei a propulsione nucleare (le più grandi e potenti navi militari oggi esistenti), contro le due convenzionali della Cina (di cui una varata lo scorso anno). In sostanza, ne possiede più di tutte le altre marine del mondo messe insieme, tenuto conto che se ne possono contare solo 9, di cui 8 convenzionali (tra cui le due italiane, Cavour e Garibaldi) e una nucleare (la francese Charles de Gaulle).
Le unità statunitensi più recenti, classe Gerald Ford (ne sono previste 10 complessivamente e la prima è stata varata nel 2013), hanno un dislocamento di oltre 100.000 tonnellate a pieno carico, vantano un’autonomia limitata solamente dalle forniture di viveri, armi e dal carburante per gli aerei e imbarcano 75 F-35B STOVL, oltre ad altri velivoli ed elicotteri. Una potenza impressionante. La capacità degli Stati Uniti di inviare entro pochi giorni in ogni parte del mondo una di queste navi, con il suo convoglio di unità d’appoggio, è uno dei segni più visibili dell’attuale superiorità navale statunitense.
La superiorità navale, per essere utile, va ovviamente mostrata sui mari, con unità in piena capacità operativa. Come si dice nell’ambiente “show the flag”. Dal 2015, la Marina statunitense sta effettuando dei pattugliamenti ravvicinati nel Mar Cinese, portandosi al limite delle 12 miglia nautiche dagli isolotti rivendicati dalla Cina. Nel solo 2019 sono state effettuate otto esercitazioni di questo tipo, con la giustificazione di garantire la libertà di navigazione in quelle acque.
La portaerei Roosevelt era impegnata proprio in questo tipo di attività, la prima del 2020. Partita con la sua scorta a metà gennaio da San Diego, aveva sostato a Guam per poi effettuare una lunga crociera nel Mar Cinese Meridionale, sostando a Da Nang (Vietnam) per poi fare rientro a Guam, dove il Comandante ha chiesto, in via precauzionale, di sbarcare una consistente parte del suo equipaggio contagiato da Covid-19.
Da parte sua, lo scorso mese di marzo la Cina ha approfittato dei problemi causati nell’area dalla pandemia per effettuare alcune manovre navali nelle acque del Mar Cinese, manovre che hanno comportato, a quanto si apprende dalle agenzie, anche delle penetrazioni nella Air Defence Identification Zone giapponese.
Si comprende, quindi, come questa delicata area oggi rappresenti uno dei punti caldi del mondo, con nuovi contrasti che si sommano ai vecchi rancori della guerra fredda, accrescendo i rischi dell’attuale nuovo contesto geopolitico, ancora in fase di transizione. In prospettiva futura essa rappresenta, quindi, il nodo di grandi interessi economici e strategici che potrebbero aver conseguenze su altre aree a noi più prossime, o su questioni di nostro diretto interesse.
Il resto è sulle ginocchia di Giove.