
“Questo superbo trono di re, quest’isola scettrata, pietra preziosa incastonata nell’argenteo mare, quest’aiuola beata, questa terra, questo reame d’ Inghilterra“, è l’elegia che Shakespeare nel “Riccardo II” mette in bocca al morente John di Gaunt. Al quale anche , sfortunato, tocca constatare che purtroppo ai suoi tempi come ai nostri questo “novello Eden” somiglia piuttosto, per dirla sempre col Bardo, a “un qualsiasi podere, o fattoria dissestata”.
Per carità, non che Boris Johnson abbia almeno la grandezza tragica del giovane e dissoluto re Riccardo, destinato peraltro a brutta fine. Mal che gli vada, Boris perderà soltanto le prossime elezioni, e non è detto, ma i suoi sei mesi al governo già consegnano l’immagine di un’Inghilterra che se non proprio “sommersa di vergogna e inzaccherata d’inchiostro” è però senz’altro parecchio confusa, smaniosa di Brexit e all’improvviso davvero isolata dall’invasione del coronavirus,
in balìa di un premier clownesco quant’altri mai nella storia britannica, il ragazzaccio terribile di Oxford che ha dato un calcio in culo all’Europa pur di arrivare, finalmente, a Downing Street (in suo onore, ormai, Clownish Street).
E per fare che? Presente Churchill ? Bene, Boris è il contrario. Gli ha perfino consacrato una biografia entusiastica ma è evidente che non ha imparato la lezione. Tanto incrollabile il vecchio leone nelle sue determinazioni quanto mutevole il suo spettinato epigono, più mobile di una piuma al vento, più fatuo perfino di Nigel Farrage. Chissà se per gli inglesi la pandemia sarà finalmente il momento dell’agnizione, l’improvvisa rivelazione dell’insostenibile leggerezza del loro primo ministro.
Qualche annetto fa, nel 2012, lo intervistai come sindaco di Londra alla vigilia delle Olimpiadi: in questa città l’alcol scorre a fiumi, come pensa di affrontare il problema durante i Giochi? Lui fece un ghigno malandrino: “Non si preoccupi“, rispose, “ le assicuro che ce ne sarà sempre in abbondanza”. E’ il genere di battute che fa felice l’Inghilterra dei pub. Ma anche nei pub hanno fatto gli scongiuri quando, a inizio pandemia, ha annunciato che la sua soluzione era aprire le porte al contagio per raggiungere in qualche mese la famosa “immunità di gregge, anche se questo significherà dover dire addio anzitempo a molti nostri cari “. Molti quanti ?, scusi, signor Primo Ministro.
Beh, il calcolo gliel’ha fatto uno studio dell’Imperial College, firmato dal noto scienziato Neil Ferguson: per raggiungere l’immunità bisognerebbe che il virus contagiasse almeno il 60 per cento dei 66 milioni di inglesi, ovvero 40 milioni di malati, e pure ipotizzando il tasso di mortalità più basso attorno all’1 per cento, farebbe pur sempre la bella cifra di 400 mila “cari estinti”. Perfino Boris ha capito rapidamente che con questa prospettiva anche i sudditi più leali e flemmatici avrebbero preso i forconi e l’avrebbero appeso alla porta scura del famoso Numero 10.
Così, nello spazio di un mattino, contrordine compagni, e il premier più churchilliano che mai, annuncia una nuova battaglia d’Inghilterra, stavolta contro il contagio. Stai a vedere che avevano ragione quei pusillanimi di italiani, che qualche giorno prima un imbecille nostalgico dell’Impero accusava di approfittare dell’epidemia “per fare un altro po’ di vacanza“. Come che sia, anche Johnson si convince a chiudere tutto, ma con calma, le scuole?, sì ma non tutte, i ristoranti?, sì però i pub no, e via babbiando direbbe il compianto Camilleri, finché il virus maligno non punta al bersaglio grosso, cioè proprio lui, il premier !, e a quel punto bandiera bianca.
Da dietro l’uscio chiuso dell’ufficio in cui è confinato, nella solitudine a cui lo condanna la necessaria quarantena, Johnson finalmente ordina: tutti a casa, e chiudetevi dentro a doppia mandata. Non ci crederete ma è anche per lui il momento dell’agnizione. Forse edotto dalla circostanza che se qualcuno non gli lasciasse i pasti sullo zerbino morirebbe di fame, l’erede (autoproclamatosi ) della Thatcher arriva a rinnegare il primo articolo di fede della sua profetessa: non è vero, giura, che come sosteneva lei, non esiste una cosa chiamata società, al contrario solo la società e la responsabilità comune ci permetteranno di sconfiggere la nuova pestilenza.
Beh, sarà una consolazione per i pazienti dell’NHS, il Servizio Sanitario Nazionale, devastato dai tagli dei governi conservatori e adesso a rischio di colare a picco sotto l’ondata della pandemia.
E la Brexit, in tutto questo? Che fine ha fatto? Udite udite, anche qui il granitico Johnson forse ci sta ripensando. Certo, ha fatto incidere nelle tavole della legge l’uscita definitiva dall’Europa il prossimo 31 dicembre ma i colloqui per il nuovo trattato di libero scambio con la UE non sono nemmeno cominciati, e data la situazione è del tutto improbabile che vengano avviati prima dell’estate. La sola strada per evitare una catastrofica uscita senza accordo sarebbe di chiedere l’ennesimo rinvio, entro il 30 giugno. Mai, giura ferreo il primo ministro, però …
Qualcuno gli ha fatto i conti, come per il virus, e gli ha spiegato che la recessione da pandemia rischia di divorarsi il 15 per cento del PIL britannico. Sarà proprio il caso di allargare il burrone con il crollo di esportazioni prodotto da una hard Brexit ? Certo, Get Brexit Done è il grido di battaglia che Johnson ha usato per vincere le elezioni. Ma qualcuno non l’avrà mica preso sul serio ?