
Tutte le previsioni, infatti, anticipano l’arrivo di una grave recessione come conseguenza economica della pandemia e, qualora gli Stati dovessero adottare provvedimenti egoistici, si potrebbe scatenare un clima di conflittualità che influirebbe negativamente sia sulla libera circolazione dei beni e delle persone che sulle filiere di produzione e di distribuzione. Ciò comporterebbe inevitabili ricadute sociali con conseguente crescita di nazionalismi esasperati e di accese rivalità internazionali, alimentate dall’insicurezza economica di un sistema produttivo e di distribuzione che dovrebbe riorganizzarsi. Tutto ciò influirebbe negativamente anche sulla politica dei singoli paesi, favorendo scelte orientate prevalentemente al sovranismo e all’isolazionismo.
Una crisi, tuttavia, che può essere mitigata nel caso gli Stati scelgano soluzioni innovative e solidali, anche perché questa è una crisi che non risparmia nessuno, superpotenze incluse. A partire dalla Cina, colpita nel momento del suo massimo sforzo per rilanciare i propri interessi strategici e per far ricrescere le proprie attività, dopo mesi di duro confronto commerciale con gli USA. Una Cina che, per ingentilire la propria immagine globale si sta prodigando in aiuti sanitari ai paesi oggi più impegnati nel contrasto al virus. A seguire l’India, un paese di un miliardo e 300 milioni di abitanti, toccata in ritardo dall’emergenza ma che sta sperimentando una rapida diffusione del contagio, tale da costringere il governo ad assumere le stesse drastiche soluzioni adottare negli altri paesi colpiti dal virus, mettendo in crisi economica decine di migliaia di lavoratori.
Una crisi arrivata anche in Russia, dove sembrerebbe essere sotto controllo (ma non mancano i dubbi sulle reali dimensioni del contagio) ma che ciò nonostante non rinuncia a giocare un ruolo geopolitico dispensando aiuti esterni, ampiamente pubblicizzati, per combattere il virus.
Una crisi che è esplosa anche negli USA, nonostante la sicurezza dimostrata dal Presidente Trump fino a pochi giorni fa. Un contagio che ha rapidamente superato le dimensioni europee e perfino quelle della Cina, mettendo a rischio anche la tenuta sociale del paese a stelle e strisce, con una riaccensione delle ostilità etniche, che ha visto bersagliati gli americani di origine cinese. Non solo, dati i limiti e le difficoltà ad accedere al sistema sanitario americano da parte della popolazione, le ripercussioni sociali della pandemia potrebbero essere devastanti, arrivando a compromettere la rielezione di Trump e causare un deciso rallentamento economico del paese. Tale fatto, unito al calo cinese, potrebbe avere ripercussioni negative enormi per tutta l’economia mondiale.
Neanche il Medio Oriente è salvo, con il virus che si è diffuso in molti paesi, principalmente in Iran, che potrebbe risentire in maniera drammatica di questa crisi, essendoci il rischio di un ritorno al potere delle frange più estremiste. Un prezzo molto caro che influirebbe pesantemente anche sull’economia europea, data la provata capacità di quel paese di ostacolare la libertà di navigazione nel Golfo Persico, e di influire sulla stabilità complessiva della regione mediorientale. E sappiamo per esperienza che un’instabile sponda sud del Mediterraneo ha pesanti ripercussioni anche sulla sponda nord, su quell’Europa che non ha certo bisogno di aggiungere altri problemi alla propria esistenza.
L’attuale profonda e generalizzata crisi politica internazionale e l’incertezza del multilateralismo è ancora più pericolosa se si pensa che neanche le principali alleanze riescono più a mantenere il dialogo e la cooperazione tra i propri membri, mediando fra i loro divergenti interessi. E tale incertezza potrebbe aggravare il clima di instabilità nei mercati.
L’Unione Europea, per esempio, già da anni autocondannatasi all’irrilevanza geopolitica sulla scena mondiale, appare oggi in difficoltà anche sulle questioni interne e potrebbe uscire molto compromessa dalla sua sostanziale marginalizzazione nella gestione dell’emergenza, ormai soppiantata dalle discordanti visioni di un’Europa, intesa come entità geografica formata da Stati, sempre più frazionata e divisa da tensioni, rivalità e antagonismo malamente mascherato.
Un’Europa sempre più preda di quegli Stati che, per il desiderio di dimostrare la propria forza e determinazione nel perseguire improbabili soluzioni economiche, già ampiamente provate e rivelatesi inefficaci, stanno deliberatamente scegliendo di continuare a suonare vecchi motivetti, mentre si dirigono irresponsabilmente verso l’iceberg più grande degli ultimi ottant’anni. Alfieri dell’austerità essi rimangono caparbiamente ostili a ogni sorta di idea innovativa e solidale, rifiutando ogni ragionevole possibilità di liberare adeguate risorse per sostenere l’economia continentale.
Tuttavia, Darwin ha dimostrato in maniera inappuntabile che alle crisi non sopravvive il più forte, ma colui che si adatta prima e meglio alle nuove situazioni. E solo chi si saprà adattare, tenendo in dovuto conto anche le esigenze degli altri, potrà sperare di sopravvivere a questa pandemia. L’alternativa non è solo la scomparsa dell’idea stessa di un’Europa politica e solidale, ma il probabile ritorno di nazionalismi esasperati e di accese rivalità, che potrebbero costituire la base per l’innalzamento di nuovi muri.