
«Più che una crisi sanitaria, come nel resto d’Europa, quella in corso da giorni in Ungheria è una crisi di democrazia che ieri è arrivata al culmine», denuncia mezza stampa mondiale e scrive Carlo Lania sul Manifesto. Polemiche di casa nostra: Matteo Salvini che augura ‘Buon lavoro all’amico Victor Orban’, Giorgia Meloni che insegue. Ritorsione inevitabile: difesa dei giusti diritti della opposizione solo quando è la destra ad esserlo?
«Con la scusa del dilagare del virus da oggi il premier magiaro può governare il Paese a colpi di decreti, decidere un’eventuale chiusura dello stesso parlamento, sospendere o cancellare le elezioni, cambiare o abrogare leggi già esistenti».
Le nuove norme permettono inoltre di punire con pene che possono arrivare fino a otto anni di carcere chi – risultato positivo al virus – non rispetta la quarantena, mentre anche la poca stampa rimasta ancora libera rischia pene severe – da uno a cinque anni di reclusione – se verrà ritenuta responsabile di aver diffuso «false notizie». Vere o false, lo decide lui, Orban. Tutto il Paese in mano a un uomo solo e al suo partito Fidesz (ancora nel Ppe, il partito popolare europeo), che con i voti dell’estrema destra controlla il parlamento suicida. Poteri assoluti che cesseranno solo se e quando verrà deciso dallo stesso Orbán. Alla proposta di porre un limite di 90 giorni al potere assoluto, la strafottente retorica del duce ungherese: «L’opposizione sta dalla parte del virus».
Potere assoluto a Orban, attacco al virus decisamente morbido. «Gli ungheresi possono uscire di casa per andare al lavoro, dal medico e per svolgere commissioni importanti, ma secondo i media locali sarebbe anche permesso loro di partecipare a matrimoni e funerali, svolgere attività sportive e accompagnare i bambini all’asilo. Sono state previste anche delle fasce di età per recarsi in determinati negozi: alimentari e farmacie sono aperti dalle 9 a mezzogiorno solo per gli ultra sessantacinquenni, riservando il resto della giornata alle persone più giovani».
Le istituzioni europee, decisamente timide, ‘esprimono preoccupazione’ per le restrizioni allo stato di diritto, e si guadagnano un arrogante vaffa. «Ho risposto ai frignoni europei di non avere il tempo di discutere questioni giuridiche senz’altro appassionanti ma teoriche quando ci sono vite da salvare», ha risposto ieri Orbán. Dunque i ‘frignoni’ europei: il Consiglio d’Europa, organizzazione dedicata ai diritti umani. Il Parlamento europeo (il progetto di legge ungherese rispetta i valori dell’art. 2 del Trattato?). Alto Commissariato per i Diritti umani dell’Onu. Nove organizzazioni ungheresi di difesa della libertà di stampa, quel poco che ne resta da quelle parti.
«Il dibattito non riguarda solo l’Ungheria», rileva Anna Maria Merlo, «anche se Orbán si considera un pioniere, fin dai tempi della lotta contro i migranti».