A nulla sono valsi, nel corso dell’ultimo vertice, l’appello del presidente francese Macron, la battuta al vetriolo del premier Conte («guardate la storia con gli occhiali di dieci anni fa»), la disarmante constatazione dello spagnolo Sanchez («che cosa c’è di peggio di questa pandemia») quando il premier olandese Rutte ha detto che gli euro bond dovrebbero essere presi in considerazione in caso di «scenari peggiori»).
Secondo logica e memoria storica, la Germania è stata tacciata di egoismo, oltre al fatto che questa volta «Madame Nein», come ebbe a definirla il francese Sarkozy all’epoca della crisi del 2008. rischia di compromettere seriamente la tenuta dell’Europa stessa. Angela Merkel ha fornito formidabili argomenti di critica a quanti le ricordano oggi che la Germania si è ricostruita dopo la sconfitta del Nazismo e si è riunificata grazie anche al taglio dei debiti di guerra e all’afflusso di capitali dopo l’introduzione dell’euro, in buona sostanza equiparato al «Deutsche Mark». Ora, con una bilancia commerciale in forte attivo e un debito pubblico che è la metà del nostro, la Germania immagina di fare da sola per quanto riguarda le conseguenze dell’epidemia in casa propria.
L’atteggiamento tedesco non cambia. È lo stesso del 2008, lo stesso all’epoca della crisi greca e lo stesso oggi, quando rispolvera la famosa frase di Goethe, che se ognuno spazzasse la porta di casa propria le strade della città sarebbero pulite.
Ciononostante, è sempre buona norma non rinunciare a capire le ragioni degli altri. C’è da considerare che Angela Merkel guida una colazione di governo piuttosto fragile, che il suo partito, la CDU, è andata incontro negli ultimi mesi a sonore batoste nelle elezioni regionali, sia ad Ovest sia nella ex DDR, che falchi interni e moderati temono una continua erosione a vantaggio di AfD, l’Alternative für Deutschland, il partito di estrema destra, populista, euroscettico, che ha già portato al Bundestag una consistente pattuglia di deputati. Il rischio di vedere crescere nel Paese un fronte antieuropeista, per certi aspetti più pericoloso del populismo di casa nostra (si sa che anche in negativo, il dna tedesco è più rigoroso) è concreto. E la minaccia si è avvertita da quando Angela Merkel, nel 2015, decise la clamorosa accoglienza di quasi un milione di profughi siriani, una mossa probabilmente dettata dalla volontà di ristabilire l’immagine di un Paese aperto, tollerante, solidale.
E c’è inoltre da considerare che i tedeschi, per natura e per la storia recente, sono particolarmente sensibili ad ogni scricchiolio della loro economia. Già si stavano fasciando la testa per la crisi dell’auto e i segnali di recessione alla fine del 2019. Figurarsi oggi che il governo ha già deciso di mettere da parte il totem del pareggio di bilancio per soccorrere le industrie e le famiglie del paese.
Tuttavia, non è affatto scritto che la china imboccata sia quella definitiva. Angela Merkel è alla fine del mandato, sicuramente non correrà per un’ulteriore legislatura. Si può ben sperare che voglia passare alla storia come la donna che ha salvato l’Europa e fatto definitivamente proprio il motto di Thomas Mann (voglio una Germania europea e non un’Europa tedesca) e non come la leader che ha contribuito ad affossarla.
Ma allora perché il «nein» di questi giorni? Molti osservatori dimenticano la biografia, la formazione politica e culturale nell’est comunista, la mentalità della grande «Mutti», la madre premurosa che gestisce il Paese come una saggia «casalinga sveva» (copyright, sempre Angela). Prudenza, abitudine a valutare tutte le opzioni prima di prendere un’iniziativa, costruire compromessi e alla fine decidere, a volte prendendo in contropiede quanti si aspettano ormai il contrario.
Non sarebbe la prima volta. Ha sempre fatto così e per questo i tedeschi hanno ancora fiducia in lei. Lo ha dimostrato anche in queste settimane, quando ha atteso più del dovuto prima di convincersi che l’epidemia toccava pesantemente anche la Germania.
La speranza è che, alla fine, una decisione forte e chiara la prenda. Oggi più che mai, l’Europa è nelle sue mani.