
Elezioni sofferte tra i reduci della guerra contro i serbi e le nuove generazioni, un governo presieduto da un ex giovanotto ‘nazionalista di sinistra’ (che non si sa bene cosa voglia dire), il quarantenne Albin Kurti che cade dopo solo 51 giorni, inciampato sulle liti in casa con la sua alleata Isa Mustafa, mentre il coronavirus liberamente contagiava ed uccideva anche lì, in quel Kosovo liberato da Belgrado, ma non dalla politica semimalavitosa dei clan familistici di potere. «Così mentre dai balconi di tutto il mondo ci si stringe nella lotta contro la pandemia, da quelli di Pristina si levano le proteste contro una classe dirigente che per difendere i suoi interessi non si arresta neanche di fronte a una vera e propria emergenza sociale», scrive Alessandra Briganti sul Manifesto.
I primi due casi di contagio da coronavirus in Kosovo il 13 marzo. Il governo Kurti adotta misure in linea con quanto fatto da altri Stati. La presidenza della Repubblica chiede però di proclamare ‘stato di emergenza’, che implica il trasferimento di poteri esecutivi al Consiglio nazionale di sicurezza, presieduto dal capo dello Stato. Presidenza pro domo sua. Proposta respinta dal premier, ma rilanciata dal ministro degli Interni. Tradimento in casa, Kurti lo rimuove dall’incarico, ed è guerra di tutti contro tutti. Guerra politica, non al virus. «Minacce e appelli alla responsabilità fino all’epilogo: la sfiducia contro il governo votata oltre che dall’Ldk (uno dei due partiti della coalizione), anche dal fronte delle opposizioni».
A neppure un mese di vita, troppi personalismi di far scricchiolare tra i due partner di governo, la Lega Democratica del Kosovo di Isa Mustafa, e il movimento Vetevendosjie del premier kosovaro. Tensioni politiche e rancori antichi, culminati in uno scontro senza precedenti tra il presidente della Repubblica Hashim Thaqi su cui pende il capo d’accusa di crimini di guerra, e il capo del governo e suo acerrimo nemico, Kurti. «La posta in gioco però va bel oltre la gestione dell’emergenza coronavirus –spiega Alessandra Briganti-. I rapporti tra i due partner di governo incrinati a causa del rifiuto opposto da Kurti alla richiesta pressante di Washington di abolire immediatamente e senza condizioni i dazi del 100% sulle merci serbe introdotte da Pristina più di un anno fa».
«Il premier aveva optato per un approccio graduale e condizionato all’eventuale risposta costruttiva di Belgrado». Come da impegno elettorale, abolizione dei dazi sulle materie prime importate dalla Serbia che, va ricordato, costituiscono comunque l’80% delle esportazioni serbe nell’ex provincia, e il resto, da trattare. «Kurti sa bene che il prossimo passo dopo la rimozione dei dazi è la firma dell’accordo di scambio negoziato in segreto da Thaqi e dal presidente serbo Aleksandar Vucic, e fortemente voluto dall’amministrazione Trump». Nell’accordo segreto ma ampiamente svelato, vengano ridisegnati i confini del Kosovo e della Serbia su base etnica, «un precedente pericoloso che potrebbe provocare una serie di rivendicazioni nazionaliste in tutta la regione», l’osservazione critica di Kurti e di molti analisti dei Balcani.
«Un atto di ribellione verso Washington più che fondato», osserva Alessandra Briganti, che conclude: «È lo stesso Kurti a denunciare in Parlamento quella che definisce una ‘congiura politica’. Una congiura che vede coinvolta in primis la Casa bianca, decisa a mettere una parola fine all’eterno scontro tra Kosovo e Serbia prima delle elezioni in America, e poi le sue propaggini in Kosovo, ossia il ‘Serpente’ (il nome di battaglia dell’ex guerrigliero Uck addestrato negli Usa), il presidente Thaqi e il suoi ex alleati di governo (pronti a cambiare bandiera). E forse per la prima volta dopo vent’anni il re è finalmente nudo». Ammettendo che nei Balcani possa esistere un solo Re, e senza una mutanda nascosta di emergenza.