
(Il testo integrale https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/coronavirus-la-letalita-italia-tra-apparenza-e-realta-25563 )
La differenza tra questi dati è legata al numero di persone che sono state contagiate ma non sottoposte al tampone non ufficialmente positive. Più contagiati reali a giustificare il numero dei morti. «ISPI stima che le persone attualmente positive in Italia siano nell’ordine delle 530.000, contro i circa 55.000 “casi attivi” ufficiali».
«All’inizio dell’epidemia ci si chiedeva perché l’Italia avesse così tanti casi conclamati, e così in fretta, rispetto agli altri paesi europei. Oggi, invece, in molti si chiedono perché la malattia in Italia abbia una letalità tanto alta rispetto a quella di molti altri paesi. Il 24 marzo 2020 infatti la letalità italiana sfiorava il 10%, mentre la Cina era al 4% e la Germania si attestava addirittura intorno allo 0,5% (Fig. 1).
«C’è persino chi ha tentato di spiegare tali differenze nella diffusione e letalità della malattia tra paesi, ipotizzando come possibili fattori causali lo stress del sistema sanitario nazionale, una mutazione genetica del virus a livello locale, le differenze di temperatura e umidità tra regioni del mondo, o variazioni in termini di legami intergenerazionali (gli italiani vivrebbero più spesso e più a lungo con genitori e nonni, rischiando di contagiarli)». «Cosa c’è di plausibile in queste ipotesi? Ben poco, al momento».
«Se in un paese di 100 abitanti ci sono 10 contagiati e 5 morti, il tasso di letalità sarà del 50% ma il tasso di mortalità sarà solo del 5%». Altra confusione: tasso di letalità apparente e tasso di letalità plausibile. «Nel corso di un’epidemia, l’unico modo che abbiamo per capire chi sia contagiato è sottoporre una persona a un test, ed è naturale che non si testi l’intera popolazione di persone contagiate». Impossibile sia per i molti ‘asintomatici’ sia per il numero.
Il calcolo della letalità apparente è immediato, col numero delle morti che dei casi confermati che è conosciuto. Il calcolo della letalità plausibile e dei contagi totali ed è molto complicato, avverte Matteo Villa. «Tuttavia, calcolare l’IFR, la letalità plausibile, è indispensabile per avere un’idea realistica di quante persone contagiate perdano realmente la vita».
La ‘letalità apparente’ (il numero dei morti) è una cifra che non fa capire come l’epidemia si comporta tra i vari paesi. «Nei primi giorni dell’epidemia la letalità italiana si attestava intorno al 3%, e tra il 25 febbraio e il 1° marzo era persino gradualmente scesa fino al 2%. Da quel giorno in avanti, al contrario, la letalità ha invertito la rotta e ha cominciato ad aumentare, gradualmente e linearmente, fino a raggiungere il 9,9% il 24 marzo». Virus più feroce? No, «cambio di politica sui tamponi, richiesto alle Regioni da parte del Governo italiano per adeguarsi alle raccomandazioni dell’OMS».
«Fino al 28 febbraio diverse Regioni avevano cominciato a effettuare tamponi su un campione relativamente vasto di popolazione, testando e dunque portando alla luce anche molte persone infettate ma asintomatiche o scarsamente sintomatiche». Dal 28 febbraio le disposizioni del Governo, «per non sottoporre a un carico di lavoro eccessivo i 31 laboratori autorizzati ad analizzare i risultati dei tamponi in una fase di crescita esponenziale dei contagi».
«Che il tasso di letalità apparente non sia una buona misura della letalità plausibile è ulteriormente esemplificato dalla Figura 5. Scorporando la letalità nazionale a livello regionale si scopre infatti che questa varia da un massimo del 13,6% in Lombardia a un minimo dell’1,1% in Basilicata». «Difficile immaginare che il virus uccida un contagiato ogni 7 in Lombardia e solo un contagiato su 91 in Basilicata. Tanto più che Regioni a bassa letalità si ritrovano sia nel nord della Penisola (Veneto, Valle d’Aosta, Trentino-Alto Adige) sia al sud (Sicilia, Calabria, Sardegna)».
Il tasso di letalità apparente dipende in larga parte dalle politiche di test delle singole Regioni. Moltiplichi i tamponi, riduci la possibilità di trovare contagiati. «Il Veneto, con le sue politiche di test diffuso, presenta un rapporto di positivi per tampone del 10%, mentre al contrario la Lombardia o le Marche hanno tassi vicini al 40%». «Chi fa più tamponi) troverà persone meno gravi nella popolazione generale, e dunque la sua letalità apparente sarà più bassa. Chi ne fa di meno soprattutto sui casi gravi, la sua letalità apparente sarà più alta».
Stabilito che la semplice contabilità delle vittime non misura correttamente la minaccia, il report ISPI di Matteo Villa propone teorie e calcoli decisamente complessi per noi profani. Sintesi finale: letalità plausibile (la pericolosità oggettiva per noi non scienziati) in Cina dello 0,66%; nel Regno Unito dello 0,9% Letalità stimata è più alta di quella cinese perché la popolazione britannica tende a essere più anziana.
L’analisi adattata al caso italiano, con popolazione ancora più vecchia. «Riportando la letalità plausibile in Italia si aggirerebbe intorno all’1,14%». Altri calcoli e valutazione finale (da paura): «la popolazione di casi attivi (contagiosi) plausibili sia a oggi quasi dieci volte più alta dei casi ufficiali, nell’ordine delle 530.000 unità contro i 54.030 casi ufficiali al 24 marzo 2020 (Fig. 9). L’incertezza attorno a questa stima è piuttosto ampia: si va da un minimo di 350.000 casi a un massimo di 1,2 milioni di persone contagiose attualmente in Italia».
In Italia non sembra essere presente un ceppo più letale di coronavirus rispetto al resto del mondo. «A parità di contagiati, è naturale attendersi un numero di morti più alto in Italia che in Cina perché la popolazione italiana è nettamente più anziana di quella cinese». Seconda buona notizia è adesso (attraverso quanto detto sopra) è possibile stimare il numero delle persone contagiate e, allo stesso tempo, osservare in maniera più corretta l’andamento dell’epidemia
Ci sono però anche cattive notizie. «Per poter immaginare il periodo post-emergenza sarà necessario adottare metodi per rintracciare le persone potenzialmente ancora contagiose, che si siano accorte di esserlo o meno per tenere sotto controllo l’epidemia». Due: «se il virus è sicuramente meno letale di quanto potevamo immaginarci, la sua pericolosità resta immutata». E attenzione a leggere i numeri: meno morti su più contagiati non vuole dire minore mortalità.
«Quella contro il virus sarà una lotta ancora lunga. Con questo studio abbiamo cercato di fornire alcuni strumenti in più per affrontarla».