
“Questo mondo è messo alla rovescia, la testa in basso e l’ombelico sulle spalle, la sinistra alla destra. È un mondo che castiga il lavoro e ricompensa la speculazione, un mondo dove l’onestà non ha più alcun prestigio e la mancanza di scrupoli invece è sempre più ricompensata, un mondo dove chi ha nelle mani la custodia della pace sono i paesi che fanno gli affari con la guerra, e le aziende che più avvelenano il pianeta, l’aria, l’acqua, la terra, sono quelle che guadagnano di più. Il migliore degli affari dal punto di vista del denaro è il peggior affare dal punto di vista del mondo”.
Care amiche e cari amici, questo è Eduardo Galeano, scrittore e saggista uruguaiano morto cinque anni fa. Queste frasi sono tratte da un’intervista da lui rilasciata a Luciano Minerva del 1999 per RaiNews24 (https://www.youtube.com/watch?v=3soj6KlrRVk) in occasione dell’uscita in Italia del libro: “A testa in giù. La scuola del mondo alla rovescia”. Un testo importante, chiaro e diretto che in questi giorni mi è tornato in mente, chiuso in casa, mentre fuori impazza il virus e il mondo rovesciato mostra da una parte tutta la sua impotenza e dall’altra il “necessario” cinismo del sistema neoliberista.
Impotenza e cinismo. Senza cinismo questo sistema di ingiustizie non potrebbe funzionare; e neanche senza quell’assuefazione da indifferenza e rovesciamento dei valori che decennio dopo decennio è cresciuta e ci impedisce di vedere le cose semplici per come sono. Ci voleva un’emergenza così grave per farci capire la follia delle scelte politiche sulle spese sociali, per aprirci gli occhi sul fatto che a fronte della crescita delle inutili spese militari e delle faraoniche Grandi Opere Inutili, sono sparite le risorse per un bene che dovrebbe essere primario, per tutti e gratuito: la salute.
Almeno questo è chiaro? O torniamo ad arrampicarci sugli specchi delle privatizzazioni necessarie e del fatto che ce lo chiede l’Europa? L’Europa? Non scherziamo… Non è questo il luogo dei numeri, delle cifre e di quanto è stato gettato alle ortiche della sanità pubblica in nome di un progresso fasullo. I dati sono ovunque. Qui riflettiamo sulle conseguenze, parliamo delle crisi drammatiche in corso per preparare un futuro migliore, meno schifoso per i nostri figli.
Oggi il virus tocca tutti. E decenni di neoliberismo presentano il conto. Come ho scritto in un Polemos recente, quando tutto sarà finito dovremo ripensare il nostro modo di vivere, il modo di delegare o non delegare, le priorità dell’esistenza che non coincidono quasi mai con i dogmi che siamo abituati ad accettare con indifferenza o futile rabbia da ticchettio sulle tastiere del pc.
Dobbiamo rovesciare il mondo che oggi vede la prevalenza dell’azione senza pensiero, del valore economico su quello sociale, del profitto privato sul bene comune, del consumare a ogni costo sul conservare, dell’egoismo sulla responsabilità e sulla comunità. Serve tornare a fare cultura (senza minchiate e orticelli, senza narcisismo, senza l’abbaglio del successo televisivo, ma per la comunità). Serve tornare alla politica del bene comune e non a quella che siamo abituati a vedere che si fa nei salotti dei furbetti, nelle carriere dei mediocri del passaparola, dei piatti interpreti di interessi che non ci riguardano più.
Intanto, meno wikiquote e più sane letture. Più conoscenza per porre un freno alla marea di scempiaggini che inquinano la vita e annullano le differenze tra i saperi. L’egemonia gramsciana non era basata sui like o sulle scelte padronali in doppiopetto portate avanti dai cantori ironici ed eleganti della modernità. La cultura è rigore, conoscenza, lavoro su se stessi prima ancora che al servizio degli altri.
Occorrono cose semplici e chiare. Se l’unico fine politico e culturale resterà l’accrescimento del potere economico dei gruppi finanziari, veri padroni di questo mondo a testa in giù, non ci salveremo. E non ci salveremo neanche proseguendo questa vociante e rumorosa follia della “comunicazione” dominata dall’incomunicabilità. Dal frastuono virtuale che annulla la vita reale.