
Cronaca Rai da Teheran. Vincono i conservatori ma per astensionismo favorito dagli avversari internazionali. Affluenza al 42,57%, la più bassa dal 1979. Contro il movimento riformista hanno pesato le sanzioni americane, l’inflazione, la volatilità della valuta, la brutta storia dall’abbattimento dell’aereo di linea ucraino e la paura per il coronavirus. Affluenza ai minimi storici, nonostante i ripetuti appelli al voto da parte dei vertici.
I conservatori hanno ottenuto il controllo dell’assemblea alle elezioni parlamentari iraniane con almeno 221 seggi su 290. Secondo Farsnews l’ex generale dei Pasdaran ed ex sindaco di Teheran, Mohammad Bagher Qalibaf, ha ottenuto 1.265.287 voti e molto probabilmente sarà il prossimo speaker del Parlamento. Seguono le altre due figure di spicco dei conservatori: Mostafa Mir-Salim, già ministro della Cultura negli anni ’90, e Morteza Agha-Teherani,con meno di 900 mila voti ciascuno. Ai sostenitori dell’attuale capo del governo Rohani, le bricciole: 16 seggi sono andati ai riformisti, cinque ad esponenti di minoranze religiose e 34 a candidati indipendenti.
Prima del voto il ministero dell’Interno aveva sottolineato che in ciascuna delle dieci elezioni legislative tenute dal 1979 l’affluenza aveva sempre superato il 50%. Questa volta, 42,57%. Secondo alcuni media iraniani, solo circa il 30% degli aventi diritto è andato a votare. A Teheran, con un’affluenza intorno al 20%, tutti e 30 i seggi in ballo sono stati vinti da candidati conservatori, in testa l’ex sindaco della capitale ed ex capo dell’aviazione dei Guardiani della Rivoluzione, Mohammad Bagher Qalibaf, di cui sentiremo presto ancora parlare (rimpiangendo Soleimani).
«La sconfitta del fronte riformista è dovuta ai cattivi risultati in economia del governo Rohani e il motivo di questo è l’amministrazione Trump», denuncia Hamed Mousavi, professore al dipartimento di Studi regionali della facoltà di Legge e scienze politiche all’Università di Teheran. «Siccome la situazione economica è molto grave, la gente ce l’ha con Rohani, ma non è solo colpa sua: in economia stava procedendo abbastanza bene con misure liberali, prima che gli Usa decidessero di ritirarsi dal Jcpoa e reintroducessero le sanzioni assestando un duro colpo al movimento riformista».
Prossimo Parlamento a maggioranza conservatrice. «Cercherà una politica estera più aggressiva e tornare a un negoziato con gli Usa sull’accordo nucleare sarà ancora più difficile». Poi l’emergenza coronavirus. «L’epidemia, sulla cui reale dimensione si teme che il regime non abbia ancora fornito dati attendibili, ha già fatto otto morti partendo dalla città santa di Qom». La Guida suprema, Ali Khamenei, è fermo alla ‘propaganda negativa’ contro la partecipazione al voto, ma la minaccia è seria. ituazione è seria. «Al di là delle dietrologie i timori anche dell’Oms sono concreti. ‘Il coronavirus in Iran ha già avuto un effetto immediato’». Insomma, contagi in corso e notizie anche a tutela internazionale, poche e incerted.
«Alì Kamenei, la Guida Suprema iraniana, finora ha fatto tutto quello che ha voluto. O quasi. Diciamo che, anche agli occhi della diplomazia internazionale, se il disegno della teocrazia persiana avrà il sostegno della maggioranza parlamentare (come era prevedibile ed è accaduto) allora il confronto con gli Stati Uniti e le potenze sunnite della regione si farà più duro. E potrà arrivare fino alla guerra». Poi la vittoria annunciata del già citato generale Mohammad Bagher Qalibaf. «Personaggio, che nell’immaginario collettivo dei fondamentalisti sembra aver già preso il posto di Qassam Soleimani, il prossimo anno potrebbe essere il “ front-runner” degli ortodossi alle Presidenziali . In quel caso sarebbe una specie di nuovo Ahmadnejad , tirato fuori dal cilindro per tagliare le gambe all’attuale Presidente riformista Rohuani».
«Spinti sull’orlo di una crisi di nervi dai riflessi della recessione economica, gli ayatollah cercano disperatamente un appiglio per consolidare il potere e continuare la loro strategia di “confrontation” con l’odiato Satana americano». Sul fronte opposto, «È chiaro che il progetto della Casa Bianca è quello di mettere gli ayatollah di fronte a una strada senza uscita: bere o affogare. Nel senso che, se Khamenei non scenderà a patti con gli Stati Uniti sul programma nucleare e su altre posizioni strategiche di non poco conto, la morsa asfissiante delle sanzioni si stringerà ancora , portando l’Iran a una situazione di crisi in cui potrà succedere di tutto. Anche una larga rivolta popolare, dettata non tanto da motivi libertari e politici, quanto piuttosto la necessità di sopravvivenza».