«Do you speak English?»: dal 2021 visto per i Regno solo a chi sa parlare inglese

Quando andavamo ad imparare l’inglese

Pagellina a punti, modello quiz come per la patente, per poter accedere al Regno di Elisabetta e del suo scudiero Boris. «Niente visto per chi non sa parlare inglese e non è sufficientemente qualificato. Corsia preferenziale per scienziati, ingegneri e accademici. Un sistema a punti che valuterà le competenze e darà la precedenza a chi arrivi con un’offerta di lavoro o accademica». Il governo del premier britannico, Boris Johnson, ha reso note le nuove linee guida per gli immigrati nell’era post-Brexit, regole che si applicheranno a quanti arriveranno nel Regno Unito a partire dal 2021. La prima e scontata osservazione che deve essere sfuggita allo scoppiettante  Boris, «regole destinate a chiudere le frontiere alla pratica di chi finora è andato nel Regno Unito proprio per imparare l’inglese, lavorando come lavapiatti o cameriere». Studenti tutti a Malta da ora in avanti, forse con qualche problema di classe politica un po’ discussa, ma clima e cibo migliore, nessun visto, e molto molto meno cara e spocchiosa.

Scemenze imperiali

«Downing Street, che spera di approvare nei prossimi mesi la nuova legge, non prevede l’opzione di dare permessi a lavoratori “poco qualificati” e neppure “visti” di ingresso nel Paese “per lavori temporanei”». Proclama politico neo nazional imperiale,  «riprendere “il pieno controllo” delle frontiere “per la prima volta in decenni” ed eliminare “un sistema migratorio distorto dalla libertà di circolazione europea”». Secondo il progetto, gli europei e gli immigrati del resto del mondo che vogliono vivere nel Regno Unito saranno trattati con gli stessi standard. La “priorità assoluta” del sistema sarà quella di dare l’ingresso “alle persone più qualificate e talentuose”. Le offerte di lavoro per gli immigrati dovranno garantire uno stipendio superiore alle 25.600 sterline (30.800 euro) all’anno. Le modifiche entreranno in vigore il 1 gennaio 2021, dopo la fine del periodo di transizione Brexit, durante il quale il Regno Unito continuerà a mantenere la libera circolazione delle persone per i cittadini dell’Ue.

La discussa ministra degli interni britannica Priti Patel.

Sapore di cattiveria

«La cosa giusta è che le persone parlino inglese prima di venire nel nostro Paese» spiega la ministra dell’Interno, Priti Patel, falco della destra Tory appena confermata nell’incarico. Figlia di immigrati indiani, la 47enne titolare dell’Interno nel nuovo governo Johnson voleva anche la pena di morte. E definì l’Ue “nido di terroristi droghe e armi”

Inglese corretto, possibilmente fluente, meglio se con qualche bel titolo accademico a portare scienza formata a caro prezzo in università altrui. «Il sistema -ha aggiunto- garantirà che “potranno venire nel Regno Unito solo i migliori e più brillanti”». Qualcuno un po’ più sensato della agqressiva ministra (sotto inchiesta ai tempi di Theresa May per la sua amicizie pericolose con Israele), già prevede conseguenze disastrose per l’economia (la chiusura di fabbriche ed esercizi commerciali proprio per la mancanza di manodopera a basso costo), il governo risponde assicurando che gli europei già presenti nel Regno Unito, che hanno il diritto di rimanere dopo la Brexit, “daranno alle aziende la flessibilità necessaria per soddisfare le esigenze del mercato del lavoro”.

Quoziente 70, ma a Boris quanto?

Nel sistema a punti, ispirato al modello di immigrazione australiano, sarà 70 il numero magico da raggiungere per ottenere il visto: varranno, oltreché lingua e offerta di lavoro qualificato, anche lo stipendio offerto e il lavorare in un settore che necessità manodopera. E i punti verranno attribuiti (10 o 20 per voce) soltanto a chi avrà già in mano offerte di lavoro da 25.000 sterline l’anno in su, titoli di studio specifici (come Phd), qualificazione per settori con carenza occupazionale nel Regno Unito e conoscenza dell’inglese.

AVEVAMO DETTO

Tags: Regno unito
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