
Sale a oltre 17.000 contagi e più di 360 vittime il bilancio del misterioso virus di Wuhan che dallo scorso 31 dicembre ha già superato i numeri della Sars, arrivando a minacciare almeno altri 24 paesi. Tasso di mortalità che rimane piuttosto basso e le guarigioni aumentano, la rapida diffusione del virus e la diagnosi non sempre facile ha spinto diverse nazioni a limitare i trasferimenti con la Cina. Pechino ieri ha accusato Washington di «creare e diffondere terrore» invece che aiutare.
Tonfo delle borse di Shanghai (-8,13) e Shenzhen (-8,30) alla riapertura dopo il capodanno infestato dal coronavirus. Un crollo che lascia presagire effetti negativi sull’economia mondiale. Lo schianto dei listini alla riapertura dopo il Capodanno sembra smentire nell’immediato l’efficacia degli stimoli della banca centrale. Salvo una risoluzione della crisi entro la fine di febbraio, i prossimi mesi si riveleranno critici per il manifatturiero ad alta intensità di lavoro e attività commerciali.
La Repubblica Popolare ha subito una sorta di isolamento da parte delle nazioni confinanti tra le quali la Federazione Russa e l’alleata Corea del Nord. Il contagio comunque si è diffuso. Negli ultimi decenni i cinesi sono diventati viaggiatori instancabili per ragioni di lavoro, di studio o di semplice turismo, anche grazie al miglioramento generale del tenore di vita della popolazione. E’ facile, quindi, trovarli ovunque.
Non sono inoltre mancati i commentatori ostili alla Repubblica Popolare che hanno tratto spunto dall’epidemia per augurarsi il suo tracollo, ipotizzando una crescita impetuosa delle tensioni sociali e pure una contestazione generalizzata del Partito Comunista al potere dal 1949. Vi sono, in effetti, segnali (deboli) in questo senso, ma è arduo capire la loro portata a causa del rigido controllo delle informazioni da parte delle autorità.
Un quesito, a questo punto, va formulato con forza. Dobbiamo davvero augurarci una seria crisi in Cina a causa di un’epidemia che sta mietendo molte vittime e che, finora, non è stata arginata? Una riflessione seria dovrebbe indurre tutti ad adottare una certa prudenza, inclusi coloro – e sono molti – che non amano l’autoritarismo del regime cinese e auspicano un suo rapido tramonto.
Rammentiamo a tale proposito che la grande nazione asiatica viene sempre definita “locomotiva del mondo”. Con ciò s’intende che essa gioca un ruolo primario nell’economia globalizzata che caratterizza la nostra epoca. La Cina esporta e importa un’enorme quantità di merci, contribuendo in modo rilevante agli scambi mondiali. Dopo decenni di crescita impetuosa, negli ultimi tempi il suo Pil sta rallentando, e già questo aveva causato allarme nelle Borse e nella comunità economica internazionale. E’ più che lecito attendersi che l’epidemia peggiorerà ulteriormente la situazione.
Restando all’Italia, cosa accadrà se i cinesi, a causa della crisi, diminuiranno in modo drastico le importazioni di prodotti di lusso e agro-alimentari provenienti dal nostro Paese? Non sarà facile, per aziende e produttori italiani, sostituire l’enorme mercato cinese con sbocchi alternativi, e ciò potrebbe causare conseguenze drammatiche per un’economia come la nostra che non gode certo di ottima salute. Il discorso, giova notarlo, vale pure per le altre nazioni europee.
Occorre insomma molta prudenza quando si parla del futuro della Cina. Augurarsi una crisi profonda della Repubblica Popolare potrebbe anche essere controproducente e dannoso per i nostri interessi economici e commerciali. Senza scordare che una simili crisi può pure compromettere l’equilibrio geopolitico mondiale.