
La Turchia continua ad essere l’attuale ago della bilancia della macro-area di crisi mediorientale. Recep Tayyip Erdogan gioca la sua azzardatissima partita truccando le carte e confondendo le idee a tutti i contendenti: in Libia è schierato armi e bagagli col premier tripolino El Serraj, sostenuto dall’Occidente (tranne la Francia). Nel Nord-ovest della Siria, invece, ha blindato i confini col suo Paese ed è poi penetrato in profondità nella fascia di confine, con l’intento di dare scacco matto alle milizie curde. E siccome nel giochi al massacro conseguente, il caos regna sovrano, le milizie turcomanne sostenute da Ankara sono entrate in rotta di collisione con i Russi e con i governativi siriani nella regione di Idlib.
Quindi, ricapitoliamo ancora una volta per rinfrescarci le idee e per capire “chi è contro chi”. I guerriglieri sostenuti da Erdogan, andando a caccia di curdi, si sono scontrati con le truppe di Assad che vogliono ripulire la zona da tutti i “ribelli” . Funziona così: i russi e le truppe di Assad vogliono fare piazza pulita dei rimasugli della guerra civile, senza crearsi scrupoli. Ergo, bombardano tutto quello che si muove, a cominciare dai consiglieri militari turchi che sul campo sostengono i propri miliziani, che a loro volta, continuano a combattere anche contro Damasco. Insomma, chi ci capisce qualcosa è bravo. L’altro giorno i Sukhoi di Mosca hanno martellato senza pietà le posizioni dei ribelli turcomanni, facendo una decina di vittime.
L’osservatorio per i diritti umani siriano (con sede a Londra), calcola che, le ultime scintille del conflitto nel Nord- ovest del paese di Assad abbiano spinto a lasciare le loro case ben 400 mila profughi. Quasi 50 mila solo negli ultimi giorni. A confermare la dottrina che salda le micro-aree di crisi facendole diventare “macro”, come in un perverso gioco di scatole cinesi, Idlib resta l’ultimo epicentro di una guerra civile ormai morta e sepolta in tutte le altre aree. Idlib è, in pratica, l’emblema di un dopo-Siria che si fatica a intravedere. Finite le massicce operazioni di guerra su tutti gli altri fronti, nel Nord ovest siriano si sono concentrate le ultime forze degli sbandati di tutte le risme, contrastate, a loro volta dalle alleanze “ a geometria variabile”.
Dietro le quinte, pare che Trump e Putin cerchino disperatamente un accordo definitivo per dare il via a uno straccio di processo di pace. Ma a rivoltarsi, questa volta, sono i contendenti cosiddetti minori. E tra questi in primis c’è la Turchia, che dopo essersi lautamente fatta pagare la sua azione “umanitaria” per accatastare milioni di rifugiati o per dare loro libero passaggio verso l’Europa, adesso, invece, si fa interprete di una politica estera condotta all’arma bianca per cercare di soddisfare i suoi interessi di potenza regionale sul campo. Cosa difficile, perché Ankara gioca con un piede in due staffe: liscia Putin, e contemporaneamente deve salvare la faccia perché è un autorevole componente dell’alleanza atlantica .
E quando non può salvare la faccia la fa cadere agli altri, che non riescono a reagire immobilizzati dalla paura di sbagliare. Si diceva sopra di come Erdogan si muova con la stessa spregiudicatezza sul teatro libico. Là ci sono in ballo vecchi traumi e ferite coloniali da rimarginare. Adesso bisognerà vedere. In settimana, due navi da guerra turche hanno fatto scalo a Tripoli sbarcando armi e munizioni per i soldati di El Serraj. Sotto uno sguardo misto tra il compiacente e l’impotente tra gli altri paesi coinvolti nella crisi, tra cui l’Italia. In verità, la crisi libica sembra sprofondare ogni giorno che passa. https://www.remocontro.it/2019/12/27/intervento-militare-turco-in-libia-erdogan-invitato-e-guerra-cresce/