
Sappiamo accettare le conseguenze?
Sappiamo ancora agire accettando le conseguenze del pensiero e dell’azione? Le conseguenze delle scelte fatte per senso di giustizia, per onestà intellettuale, per devozione religiosa, per amore verso il prossimo? Sappiamo scegliere se fare o non fare, se dire o non dire senza far precedere alla scelta l’utilità o nocività della decisione?
In un Polemos recente ho scritto di Julian Assange. Ecco, quanti di noi accetterebbero le conseguenze di una scelta etica fino a perdere libertà, denaro, affetti? Quanti di noi sfiderebbero il sopruso sapendo di poter pagare con la vita la sfida?
Il potere del sistema mediatico è terribile e lenitivo. Accende passioni e scatena rivolte e razzismi, rende furiose le menti, e nel contempo ci consente una vita tenue, senza doversi porre gli interrogativi essenziali sul senso dell’esistere. Di fronte all’ingiustizia drammatica crea quella camera di compensazione che garantisce la possibilità di soffrire, esprimendo dissenso e rabbia. Ma virtualmente, forse anche scendendo in piazza. Senza muovere un pedone sulla scacchiare dalla propria vita.
Tutto appare troppo pallido, con significati pastello delle nostre piccole grandi decisioni, quasi sempre mediate, riflessive o istintive, ma non troppo. Con quel buon senso che aiuta a credere che le cose accadranno nonostante noi. Nonostante le nostre decisioni, le scelte, le azioni, le parole. Quindi le scelte diventano, nella migliore delle ipotesi, scelte di bandiera, lasciate a sventolare come segno che non genera conseguenze. Oppure non scelte. O peggio ancora scelte per finta, le più in voga. Per generare conseguenze positive sul piano personale. Quanti rivoluzionari abbiamo visto sfilare nelle nostre assemblee, nelle sedi di partito, nelle redazioni dei giornali. Quanti hanno sventolato la bandiera più in alto, calcolando vento, traiettoria, ipotesi future.
Ma non importa. Sappiamo ancora accettare la sconfitta? Lottare per un principio e pagare le conseguenze della inevitabile sconfitta? Oppure ci battiamo eticamente solo per il successo? Per avere un privilegio? Per fare la corte dei miracoli a qualche miracolato con una trafila da cortigiano?
Ognuno risponde per sé. Le conseguenze delle nostre scelte sono anche le conseguenze che vivranno i nostri figli, i nipoti, quelli che verranno e che non conosciamo. Se le conseguenze immediate, con il loro gioco furfantesco di premi e piccoli vantaggi personali, sono chiare, sapremo alzare lo sguardo? Sapremo valutare le conseguenze meno ravvicinate nel futuro della comunità, dei nostri territori, della nostra esistenza?
Abbiamo doveri verso il futuro. E dobbiamo lavorare perché non ci venga sottratto da questa camomillosa e rabbiosa onda mediatica fatta di emergenze e profitto a ogni costo. Per questo ci batteremo ancora e ci batteremo sempre. Senza inseguire guru o miti da informazione turbinante. Per noi, per i nostri territori, per i nostri figli, contro l’ingiustizia che sta mettendo radici.