India di Modi, integralismo induista e autoritarismo

Dove sta andando l’India di Narendra Modi?

Quando nel nostro Paese si parla di India a tutti vengono in mente i due marò del San Marco, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, i due fucilieri della Marina accusati di aver ucciso due pescatori indiani nel 2012 nel sud dell’India. Dal luglio scorso a dibattimento la Corte arbitrale permanente nel caso della ‘Enrica Lexie’ su chi li dovrà giudicare (Nave italiana suolo italiano, vittime indiane tribunale indiano).

Bagarre giuridica con l’Italia, finita nella disgrazia a rappresentare l’Europa e l’occidente, per svelare con 8 anni di anticipo, il montare di un orgoglio nazionale indiano che che ha poi portato alla elezione a presidente del sovranista e autoritario Nerendra Modi.

Il presidente indiano Narendra Modi

India superpotenza nucleare

L’India, un vero e proprio subcontinente e seconda nazione più popolosa al mondo dopo la Cina, è diventata a tutti gli effetti una grande potenza. Fa parte del gruppo dei Brics dove ha un ruolo di rilievo, e la sua crescita economica ha conosciuto ritmi prima inimmaginabili, tanto che l’aumento costante del PIL minaccia ormai il primato cinese.

E’ pure una potenza atomica che spende somme rilevanti per le forze armate, e viene corteggiata da più parti per attirarla in questa o quella sfera d’influenza. Regge ancora il rapporto privilegiato con la Russia in funzione anti-cinese, ma negli ultimi tempi Pechino e New Delhi parlano sempre più spesso, coscienti che a entrambi giova migliorare le relazioni bilaterali.

Islam minoritario ma a milioni

L’ascesa al governo di Narendra Modi, capo di un Partito del Popolo assai nazionalista, ha incrementato ancor più gli atteggiamenti da grande potenza e, soprattutto, l’esaltazione dell’identità culturale indù, che il Partito del Congresso di Sonia Gandhi cercava invece di frenare. Non si dimentichi, tra l’altro, che l’Unione Indiana è il terzo Paese al mondo per consistenza della popolazione musulmana, dopo Indonesia e Pakistan.

Recentemente il celebre economista e filosofo indiano Amartya Sen, premio Nobel per l’economia nel 1998, ha denunciato il crescente nazionalismo nel suo Paese dimettendosi dalla carica di “chancellor” della Nalanda University. Sen ha fatto capire chiaramente che l’attuale governo di New Delhi non vede di buon occhio l’influenza di culture “straniere” in ambito accademico (e non solo).

Identità forti e fascioinduismo

La suddetta esaltazione del fattore identitario è destinata a pesare parecchio sul futuro indiano. E mette pure conto notare che, spesso in contrapposizione evidente con la diffusione del fondamentalismo islamico, non è neppure un caso isolato. I cinesi stanno tornando alle radici della loro cultura rivalutando in particolare, e in grande stile, la filosofia confuciana. Nelle nazioni in cui prevale il buddhismo, cultura e filosofia che dovrebbero per definizione essere pacifiche, il rafforzamento dell’identità locale ha condotto a campagne costellate da episodi di violenza, per esempio in Birmania (o Myanmar che dir si voglia) e in Thailandia.

Nel contesto indiano alcuni settori del partito nazionalista di Modi non si son fatti scrupolo di tessere le lodi del fanatico indù che nel 1948 assassinò il Mahatma Gandhi colpevole, secondo la fazione radicale cui apparteneva il killer, di favorire troppo il dialogo con i musulmani. Il successivo avvento di Modi ha fatto sì che il vento del nazionalismo soffiasse sempre più forte.

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