La Libia che non ci dicono o peggio, che non conoscono

Al Saraj libico turcomanno, Haftar libico arabo con passaporto americano, le milizie armate, le tribù, le kabile e la tripartizione di fatto della Libia dove all’Italia, se ci va bene, resta un po’ di gas e petrolio che estraiamo e incanaliamo bene grazie all’Eni.

L’Italia e l’impero ottomano

Era l’ottobre del 1911 quando dalle navi italiane sbarcarono a Tripoli gli Ascari con l’ordine di cacciare i militari dell’ormai traballante Impero ottomano che era lì da trecentocinquantanni abbondanti. E fu battaglia casa per casa, durissima: quella che non riesce oggi alle milizie di Haftar. Ovviamente, nella Tripolitania ottomana, più o meno l’attuale Libia, commercio, cultura e famiglie si intrecciavano. Il potere multinazionale turcomanno, la popolazione costiera di origine araba, all’interno le tribù nomadi beduine e quelle nere dall’Africa profonda, come i nostri Ascari eritrei. Tra le famiglie libiche ottomane turcomanne, certamente anche gli Al Sarraj, o chissà come si chiamavano esattamente allora.

Presa da troppo lontano?

Eppure c’è chi s’è stupito dell’amico dell’Italia Al Sarraj che di colpo scopre il suo amore per la Turchia di Erdogan e ne sposa l’espansionismo armato per salvarsi dalle bande armate arabe dell’americano Haftar armato dalla Russia, finanziato dagli Emiri e sostenuto dall’Egitto. Sembra uno scioglilingua etnico militare. Dai tempi ottomani, in quella terra, il possesso del territorio demarca i poteri tribali e le alleanze tra di loro, un tempo per l’acqua delle oasi, ora per quello che si nasconde sottoterra. E persino i quartieri delle città sorte successivamente, Tripoli certamente, sono aggregazioni di popolazioni di stesse origini, quartieri-tribù che vivi e difendi, quando serve.

Dallo ‘scatolone di sabbia’ all’ossessione migranti

Lo ‘scatolone di sabbia’ del colonialismo straccione, il petrolio appena annusato, e quasi cent’anni dopo, l’ossessione migranti della politichetta nostrana e incasso elettorale, mentre altri pensavano e brigavano per spartirsi la Libia e le sue enormi risorse di gas e petrolio. Ora il ritorno alla geografia per definire meglio la nuova geopolitica al momento ancora litigata

Tripolitania,

il ritorno neo-ottomano attraverso Erdogan Sultano e l’amico turcomanno Al Sarraj che basta guardarlo per capire che ha origini diverse dalla maggior parte della popolazione libica. Poi l’Italia, che è vicina di casa ed è spesso minchiona, comunque utile per il problema migranti, e soprattutto per altro gas petrolio da cercare anche in mare e da veicolare verso l’Europa.

Cirenaica,

ovviamente Haftar l’Amerikano, o chi dopo di lui (non era stato gravemente malato e operato in Francia?) mette la Cirenaica sotto tutela russo-egiziana e supporter armati vari, arruolati con soldi degli Emirati. La Libia araba che si compatta sotto l’occhio attento di Mosca e le armi del Wagner Group che costano caro ma sono decisamente meglio di certe milizie locali.

Fezzan,

la Libia interna verso i deserti e l’Africa nera della storiche colonie francesi, passando attraverso i territori dei berberi e dei nomadi Tuareg o Tebu. L’Afrique francofona del Ciad tra mille traffici ed inquietudini. Col problema sottovalutato di un Shael islamico pericolosamente radicalizzato. Presenze militari Usa ed europee verso il Mali e l’Italia che ora è in Niger, e speriamo in bene.  

La guerra dei quartieri tribali

La guerra che il super armato Haftar non riesce a vincere conquistando Tripoli, e non ci riuscirà mai. Errore strategico di Haftar, quello di credere in una sollevazione di milizie tribali a suo sostegno. Non è accaduto forse perché lui pretendeva di comandare mentre i boss locali preferiscono un potere centrale lontano e debole. Chi capisce di cose militari ritiene decisivo il ruolo delle formazioni salafite RADA, che Haftar contava di avere dalla sua parte e che invece oggi fanno da polizia a Tripoli e controllano il solo aeroporto della capitale in funzione.

Poi i nuclei di difesa territoriale-tribali tutto attorno a Tripoli, la vera difesa imprendibile della capitale. ‘Quartieri etnici’, abitati da persone di provenienze territoriali e tribali omogenee di cui abbiamo già detto. Nuclei di edifici difesi muro per muro e praticamente impossibili da espugnare, salvo impensabili bagni di sangue. Difesa feroce in ogni singolo avamposto, ma scarsa attitudine militare a combattere ‘fuori casa’, nessuna voglia di contrattacco, di andare oltre. E la guerra di conquista di Haftar e i contrattacchi di Sarraj si impantanano.

La guerra da lontano

Forze militari, quelle locali, che dal controllo del territorio traggono il loro potere ma che diventano assieme la loro debolezza, in caso di contrattacco e minacciata conquista. Quindi la potenza militare di Misurata minacciata dalla conquista di Sirte, e la città chiave di Tarhuna. Ma non è la cronaca militare che ci interessa. Non è nostra materia. La guerra che si impantana sul terreno, una guerra senza corpo a corpo, va all’attacco soltanto per aria. Quindi la guerra dei droni: droni di fabbricazione cinese per Haftar, e droni turchi di fabbricazione varia dalla Turchia per Sarraj.

Soluzione politica?

Idee poche e confuse. Forse il sussurrato incarico di ‘super inviato’ italiano a Marco Minniti potrebbe aiutare, anche se mancano conferme. L’ex ministro che di Libia certamente sa, anche se era abituato ad avere accanto l’ormai ex direttore dell’Aise Alberto Manenti, il ‘libico’ (è nato in Libia), noto da quella parti come Tarhuna. Le spie mai ex, ma Manenti sembra molto defilato e poco disposto a tornare in campo ad incassare più cattiverie che meriti. Italia certamente poco attrezzata, almeno attualmente, ma oggettivamente, soluzioni difficili da trovare, visti gli interessi spartitori a più potenze ormai consolidati di cui vi abbiamo raccontato.

AGGIUNTA E INTEGRAZIONE

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