‘America first’ a quale costo? Iran, tre scenari di vendetta terrificanti

ANSA – Parlamento iracheno ‘Cacciare le truppe Usa’

Una marea umana ha invaso le strade di Ahvaz per il primo corteo funebre in memoria del generale Qassem Soleimani. L’omaggio si ripeterà a Machhad, nel nord-est, a Teheran, domenica e lunedì, poi a Qom (nel centro del Paese), prima della sepoltura in programma per martedì nella città natale del generale, Kerman, nel sudest.
Il ministro iraniano della Difesa Amir Hatami, ha chiesto a tutti i paesi del mondo «di prendere posizione appropriata contro le mosse terroristiche degli Usa, se vogliono evitare che si ripetano atti odiosi e senza precedenti come l’uccisione del generale».
L’Iraq ha detto di aver presentato una denuncia alle Nazioni Unite contro «gli attacchi americani». Il parlamento iracheno ha chiesto al governo di cacciare la coalizione internazionale anti-Isis a guida Usa. Al momento ci sono 5.200 militari americani sul suolo iracheno, più forze di altri Paesi che partecipano alla coalizione (quasi mille italiani compresi).
Ma Trump, in difficoltà politica in casa per la decisione ‘avventurosa’, rilancia a colpi di tweet: se l’Iran colpisce americani o asset americani gli Usa colpiranno molto duramente l’Iran. E gli Stati Uniti hanno già individuato 52 siti iraniani che potranno essere attaccati molto rapidamente.

Il dopo, scenari da paura

L’uccisione “mirata” di Qassam Soleimani  è un azzardo che potrebbe incendiare tutto il Medio Oriente. Perché? Prima di tutto, perché il generale comandante delle milizie iraniane è stato finora il bersaglio più alto in grado colpito dal binomio israelo-americano. Da un certo punto di vista è come se gli sciiti di Teheran avessero ammazzato un personaggio alla Moshe Dayan. Un comandante carismatico, in grado di muovere le truppe iraniane sullo scacchiere siro-irakeno, ma contemporaneamente anche in grado di fare politica. Ad alti livelli. Era lui l’anello di congiunzione tra la teocrazia persiana e il resto della diplomazia mediorientale. Averlo eliminato apre scenari inquietanti. Perché tutti gli uomini di guerra a volte devono essere anche uomini di pace.

Soleimani non solo combattente

Soleimani sovrintendeva a tutte le trattative che gli ayatollah avevano imbastito nella regione.  Un grande tattico, quindi, che però sapeva addomesticare anche la strategia e riusciva a guardare lontano. Come comandante delle brigate al-Aqsa era stato incaricato di posizionare le milizie iraniane in Siria in modo da aprirsi quasi un’autostrada sino al Golan. Una manovra a tenaglia, dove l’altro braccio era costituito dai feroci fondamentalisti di Hezbollah. Una tenaglia che teneva a portata di razzi e missili tutto il sud del Libano e l’Alta Galilea israeliana. Per questo a Gerusalemme il generale Soleimani era visto come il nemico pubblico numero uno. L’omicidio “mirato” poteva anche essere prevedibile, ma questa volta israeliani e americani potrebbero avere fatto il passo più lungo della gamba.

Quale Iran reagirà?

L’Iran non è un monolito. Dentro quel calderone ribollente si agitano diverse anime, alcune veramente desiderose di andare al martirio contro l’Occidente. Avere interlocutori credibili, come nel caso riguardante l’arricchimento dell’uranio per giungere alla bomba atomica, non è assolutamente facile. Come reagirà adesso il grande paese sciita? È proprio questo il dilemma.

1. Gli stretti del petrolio

L’Iran ha le “chiavi” dello Stretto di Hormuz, da dove passa tra 1/3 e la metà del traffico energetico mondiale. In teoria Teheran ha anche le chiavi per tenere sotto tiro lo Stretto di Bab-el-Mandeb, che dà accesso al Mar Rosso. Questo perché Teheran è legata a filo doppio ai ribelli Houthies dello Yemen, che sostengono e foraggiano nella guerra civile contro il governo sunnita.
Il modo più semplice per bloccare Bab-el-Mandeb che porta a Suez e per sigillare Hormuz è quello di seminare centinaia di mine magnetiche a basso costo, che farebbero immediatamente lievitare il costo dei noli marittimi e i rischi assicurativi. Insomma, le mine bloccherebbero le petroliere che agirebbero a loro rischio e pericolo.

2. Guerre indirette diffuse

Tra le altre cose, Kamenei,  potrebbe dare via libera all’arrembaggio di tutte le milizie sciite che operano in Siria, con obiettivo il Libano, il Golan occupato e l’Alta Galilea israeliana. Tra le altre cose, gli ayatollah hanno un arsenale formidabile costituito da missili balistici a lunga gittata, che possono raggiungere la maggior parte delle capitali in tutta la regione. Insomma, ci siamo capiti: avere eliminato Soleimani non è stata proprio una bella pensata. Anzi, è stata una mossa da deficienti. Quando il nemico è esasperato e ha una cultura radicalmente diversa dalla tua, la sua reazione potrebbe essere catastrofica e andare oltre le righe. A questo va aggiunto anche il fatto che le sanzioni di Trump e dell’Occidente stanno progressivamente strangolando l’economia iraniana. È una corsa contro il tempo. E gli iraniani potrebbero avere interesse a incendiare le polveri per cercare il martirio sui campi di battaglia, piuttosto che morire lentamente e progressivamente d’inedia, sotto i colpi delle sanzioni commerciali.

3. Antinucleare e ‘atomica sporca’

Per ora il regime ha avuto buon gioco a puntare sul titanico scontro tra sciiti e sunniti, innestato dalle cosiddette “Primavere arabe”. Ma adesso siamo quasi ai titoli di coda. A questo punto, secondo alcuni esperti, il regime di Teheran non ha l’assoluta necessità di arrivare all’arma nucleare.

Potrebbe anche mettersi in condizione di utilizzare la cosiddetta “bomba atomica sporca”, capace di seminare morte e distruzione, sfruttando solo delle radiazioni di materiale fissile. La bomba si chiama sporca perché non esplode come un ordigno nucleare, ma sparge solamente le sue  micidiali radiazioni nell’ambito di diverse centinaia di metri. Facendo scoppiare un ordigno del genere nel cuore di una città, si fabbricherebbe a tavolino una massiccia ondata di leucemie e di sarcomi. Ergo: forse  israeliani e americani avrebbero fatto meglio ad evitare l’omicidio “mirato” di Qassam Soleimani.

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