
Che l’anno nuovo cominci puntualmente per tutti alla mezzanotte di ogni 31 dicembre non è per niente detto. Una ipotesi imposta nel pianeta con prepotenza occidentale. La tradizione iniziata dal calendario giuliano e modificata poi da quello gregoriano, e va così da almeno un paio di millenni, ma altrove è ben diverso. Il capodanno cinese ad esempio non ha una data fissa, ma dipende dai mesi lunari .un po’ come la Pasqua crisdtiana- e può cadere in una data variabile compresa tra il 21 gennaio e il 19 febbraio del mondo occidentale, nell’arco di un mese, mentre la sua denominazione è appunto «festa di primavera», ricordando il ciclo vitale di tutti gli organismi. A sua volta ogni mese del calendario cinese inizia infatti con il novilunio, quando cioè la luna intera non è visibile e ne appare la falce solo nella seconda notte della fase lunare. Il capodanno cinese coincide dunque con la seconda luna nuova dopo il solstizio d’inverno e significa che il sistema per determinarlo non segue solo le orbite lunari, ma anche quelle intorno al sole.
Inoltre il capodanno cinese si articola in ben quindici giornate di festeggiamenti in cui si alternano eventi pubblici e domestici e soprattutto di viaggi per incontrarsi con i parenti. Nelle giornate precedenti al capodanno l’impegno principale è ad esempio il riordino e la pulizia della casa con lo scopo di fare spazio alla ‘fortuna’, immancabilmente auspicata per ogni nuovo anno, cui segue il primo giorno la ‘danza del leone’, una sfilata allegorica per le strade in mezzo allo scoppio dei petardi. La giornata successiva è invece dedicata ai genitori, e seguono altre giornate all’interno della casa per ricordare i defunti. Il settimo giorno è dedicato alla celebrazione di una sorta di compleanno comune a tutti e il nono alla divinità. Il quindicesimo giorno conclude il ciclo pubblicamente con la ‘festa delle lanterne’ mentre le case sono illuminate da candele. Tutte queste celebrazioni infine non si svolgono solo nella Cina propriamente detta, ma anche in Malesia, a Singapore, nelle Filippine, in Corea, in Indonesia e in Vietnam e anche nelle comunità cinesi più numerose sparse per i continenti.
Anche la cultura islamica calcola la giornata dell’inizio del nuovo anno sempre sulla base di mesi legati al ciclo lunare e non avviene in una data fissa con la durata dei mesi dai ventinove ai trenta giorni che si alternano in successione rigorosa. Per concludere, l’anno islamico ha la durata di 354 o 355 giorni, ogni tre anni è inserito un anno con una giornata in più alla fine dell’ultimo mese, grossomodo simile al nostro anno ‘bisestile’. L’elemento più interessante di questo modo di calcolare la durata dell’anno è che spesso, confrontandolo con l’anno gregoriano, avviene che due fine-anno islamici si collochino all’interno dello stesso anno occidentale. Primo giorno dell’anno è comunque il primo giorno del mese di ‘muharram’, solennizzato in maniera leggermente diversa a seconda che avvenga in comunità sciite o sunnite. Per gli sciiti la data ricordata è quella della battaglia di Kerbela (10 ottobre 680, o decimo giorno di muharram dell’anno sessantunesimo dell’Egira) in cui fu ucciso Hussein, nipote del Profeta Maometto, mentre per i sunniti soprattutto nord africani la giornata ha un carattere più festivo. Inoltre, similmente al Ramadan (il periodo rituale di digiuno), gli sciiti si astengono rigorosamente da cibi e bevande. Benché se ne parli poco, anche nel mondo islamico esiste una terza tendenza verso la secolarizzazione che considera semplicemente il primo giorno dell’anno in maniera molto simile a quella occidentale.
Ancora diverse, benché più vicine alle date occidentali perché basate su calcoli solari e una diversa durata dei mesi non su base lunare, sono le celebrazioni che avvengono nel mondo ortodosso. Come è noto infatti le festività legate al Natale e alla fine dell’anno sono computate sulla base di due diversi calendari: il calendario giuliano e il calendario gregoriano. Il primo, elaborato da un astronomo egiziano, fu adottato ufficialmente da Giulio Cesare nel 46 a.C. e il secondo – introdotto da papa Gregorio XII nel 1582 – fu il risultato delle correzioni effettuate da astronomi e matematici occidentali (tra i quali Copernico) sulla durata effettiva del ciclo solare. Oggi, a parte il caso etiopico dove è ancora in uso, il calendario giuliano resta il calendario liturgico della chiesa ortodossa russa, serba, macedone, georgiana e di Gerusalemme. In pratica la differenza principale consiste in una decina di giorni di differenza tra la data giuliana e quella ortodossa: il giorno di Natale, festività fissa al 25 dicembre, corrisponde invece al 6 o 7 gennaio, oppure la giornata dell’Assunzione di Maria fissata per i cattolici al 15 agosto, corrisponde per gli ortodossi al giorno 28.