
Peggio delle più pessimistiche previsioni. La venticinquesima conferenza sul clima (COP25), il vertice annuale di quasi 200 Paesi, si chiude a Madrid con un giorno e mezzo di ritardo e con un pesante fallimento. Proroga con estenuanti negoziati per il mercato della CO2, e alla fine il vertice termina con un timido appello ai Paesi a fare ‘sforzi più ambiziosi’. Incapaci e pure ipocriti. Se ne riparla l’anno prossimo alla COP26 di Glasgow, salvo catastrofi nel frattempo oltre le Brexit con corso d’opera.
Il compromesso non è facile, perché tutti i Paesi invitati hanno diritto di veto, e il Brasile, ad esempio, lo ha esercitato spesso in questi giorni, ma non solo il fascistissimo Bolsonaro. La controprova della ‘disconnessione’ fra quello che chiede l’opinione pubblica, dalle sardine italiane ai movimento giovanili nel mondo, e le stanche e sorde e obsolete liturgie di questi consessi politici multilaterali. E un gruppo di attivisti di Extinction Rebellion ha rovesciato davanti all’ingresso del vertice una montagna di cacca di cavallo. Ma è cacca per tutti
«Sembra quasi che i negoziatori e i ministri abbiano vissuto in stanze insonorizzate, sordi ai dossier degli scienziati, ai record climatici in negativo (di emissioni di CO2 e di temperature nel 2019) e alle proteste della piazza», asscrive Sara Gandolfi sul Corriere della sera. Solo 84 Paesi si sono impegnati a presentare piani più restrittivi sulle emissioni di gas serra, entro il 2020. Tra questi, non ci sono Stati Uniti, Cina, India e Russia, che insieme rappresentano il 55% delle emissioni climalteranti.
Buffoni twittanti o capi di Stato a rincorrere supremazie economico militari da far prevalere forse all’inferno. Eppure gli scienziati avevano avvertito chiaramente: sforzi globali da moltiplicare per cinque se si vuole evitare un aumento della temperatura media terrestre superiore a 1,5° rispetto a quella pre-industriale, la soglia oltre la quale gli eventi estremi potrebbero raggiungere il punto di non ritorno. Con i piani attuali, si arriverebbe facilmente ai 3,2° di aumento entro la fine del secolo
“Ci restano 10 anni ma solo 7 nazioni hanno dichiarato lo stato di emergenza climatica”, la sentenza climatica. Ma Brasile e Australia-ad esempio- vogliono poter gestire in ‘autonomia’ il loro immenso patrimonio (in termini di assorbimento di CO2) forestale, sottolinea Luca Fraioli su Repubblica. ‘Finanza climatica addio’. I meccanismi finanziari che dovrebbero aiutare i paesi più vulnerabili dal punto di vista climatico. Il rappresentate di Tuvalu, isola del Pacifico che rischia di finire sommersa per l’innalzamento dei mari:. «C’è una nazione che si è schierata contro queste misure pur avendo deciso di uscire dagli Accordi di Parigi», e accusa Trump, senza farne il nome di «crimine contro l’umanità».
Un totale scollamento tra le richieste degli scienziati e quello che i negoziatori politici stanno cercando di ottenere. Jennifer Morgan, attuale direttrice esecutiva di Greenpeace International: «Ancora una volta la politica si è lasciata condizionare dagli interessi legati ai combustibili fossili e ha sbattuto la porta in faccia ai valori della società civile e alle conoscenze degli scienziati».
«Una manciata di Paesi rumorosi ha dirottato il processo prendendo in ostaggio il resto del pianeta».
«Anche per l’irresponsabile debolezza della presidenza cilena, Paesi come Brasile e Arabia Saudita hanno fatto muro, vendendo accordi sul carbonio e travolgendo scienziati e società civile».